Il tema della sincronicità apertura a "nuovi cieli e nuove terre"

F. David Peat
Sincronicità. Un connubio tra psiche e materia
MaGi Edizioni, Roma 2014

 Maria Pia Rosati

 

L‘Ave Maria di Bobbio, un’interessante novella scritta da Luigi Pirandello agli inizi del ‘900 ci sembra descriva in maniera molto vivace ad un tempo un evento che potremmo definire lato sensu di sincronicità e una sorta di terrore che invade l’uomo occidentale moderno di fronte ad avvenimenti non spiegabili secondo la logica aristotelica causalistica e del terzo escluso costringendolo a far di tutto per chiudere ogni spiraglio da cui traspaia un’altra visione della realtà.

PeatIl protagonista Marco Saverio Bobbio, stimato notaio di un paesino della Sicilia, che ormai si è ben istallato in una sorta di rassicurante weltanschauung fondata su una filosofia razionalista di stampo illuminista, lasciate tra i ricordi dell’infanzia le credenze religiose e le pratiche devozionali, è spiacevolmente sorpreso da un avvenimento che sembrerebbe scuotere le acquisite certezze. Colto improvvisamente da un lancinante dolore a un dente nel bel mezzo di una piacevole riunione falmiliar-conviviale nella villa di campagna è costretto ad abbandonare i suoi ospiti per raggiungere con la massima urgenza lo studio del dentista. Nel tragitto in carrozza, obnubilato dal dolore sente che quasi inavvertitamente, passando davanti ad un rozzo tabernacolo della Madonna delle Grazie, gli è venuta alle labbra una Ave Maria: improvvisamente il dolore scompare. Sorpreso e soprattutto molto turbato ritorna indietro senza neppure aver visto il dentista e alle domande dei familiari meravigliati della rapida guarigione risponde con uno sbrigativo: ‘è passato da sé’. Ma l’episodio ben presto si ripete: terribile fitta di dolore al dente, inavvertita esclamazione devota e cessazione immediata del dolore. Tuttavia potremmo dire che più che il dolore poté lo sconcerto e il notaio si precipitò dal dentista per farsi togliere quel dente che ormai non faceva più male, anzi ‘tutti i denti’ pur di non doversi più confrontare con analogo inquietante fenomeno.

«L’essere è, il non essere non è» diceva Parmenide; cioè l’essere è sempre e soltanto intero e totale, l’essere è e deve essere il tutto e non è più tale se a esso viene tolta una qualsiasi parte anche se piccola.

L’essere è il tutto e nel tutto, per appunto, c’è tutto. E, come sanno i sapienti ogni singola cosa, comprese le cose del nostro mondo – immagini, sogni, desideri, apparenze, illusioni – sta coerentemente (e secondo la sua legge propria) nel tutto e gli appartiene.

 «I sapienti dicono, o Callicle, che cielo, terra, dei e uomini sono tenuti insieme dalla comunanza, dall’amicizia, dalla temperanza e dalla giustizia: ed è proprio per tale ragione, o amico, che essi chiamano questo intero universo “cosmo”, ordine, e non, invece, disordine e dissolutezza.» (Platone, Gorgia 507 e – 508)

Le chiare parole di Platone ci porgono il frutto di un’antica sapienza da cui è nata e fiorita la filosofia greca e dunque il pensiero dell’occidente. Anzi, ci dice il filosofo Giorgio Colli, quella filo-sofia (amore, ricerca del sapere) è già il segno di una crisi, di una rottura e del senso di perdita di una più antica sapienza che non si poneva domande ma scaturiva da una sorta di mania mistica estatica (follia mantica apollinea, o follia erotica dionisiaca) che ampliava le capacità della mente umana aprendola a un contatto profondo con lo spirito della natura, a un dialogo con l’universo. Il sapiente, in un’ininterrotta catena iniziatica da bocca a orecchio che si ricollega alla tradizione dei sapienti egizi e orientali, di quell’Oriente di cui la Grecia era parte integrante è vate e profeta, come Omero, Esiodo, ermeneuta che sa decodificare, interpretare, svelare.

Già molti millenni prima della nostra era gli sciamani dell’asia continentale e i rishi del mondo vedico attraverso una lunga iniziazione e una dura ascesi pervenivano ad un potente concentrato di energia psichica (il tapas dei rishi vedici) che permetteva loro il superamento di terribili prove, sia fisiche che psichiche, e di varie soglie: lottare con le forze elementari della natura, discendere nel regno della morte, confrontarsi con forze demoniache ostili, subire lo smembramento del proprio corpo, ascendere a un livello cosmico. Lo sciamano dopo il viaggio iniziatico diviene guaritore, veggente, poeta che si muove dall’esterno all’interno e dall’interno all’esterno e approda a un livello sovraindividuale metapsichico di forte intensità corrispondente al primigenio stato della manifestazione dell’essere. L’antropologa Eveline Lot Falck, così ci parla di uno sciamano yakut: «vegliardo, parlatore eloquente, finestra della terra in quanto si apre su un mondo e comunica con un altro, partecipa dell’interno e dell’esterno

Il cosmo è un «grande vivente», un infinito dio, ogni sua pulsazione è un ente del mondo, ogni suo respiro siamo noi, secondo il detto vedico «Tu sei questo, tat tvam asi». Afferrare una sola piccola cosa significa afferrare tutto.

Un unico logos unisce i molti, i quali sono uno e molti, molti perché uno e uno perché molti.

Questa sapienza (la parola “sapere” deriva dal lt. sápere = gustare e ne conserva l’ampia accezione connotativa) ha continuato a vivere soprattutto in oriente, alimentata dal soffio delle culture tradizionali. In occidente, la ritroviamo nelle esperienze dei mistici, coltivata dalle scienze esoteriche, come l’alchimia, o in circoli umanistici come le accademie rinascimentali nutrite dalla filosofia platonica e neoplatonica.

La cultura dominante occidentale, dopo il periodo medioevale aureo (sec. XII) in cui ancora convivevano tradizione e filosofia e sacro e profano si equilibravano, ha subito una brusca svolta proprio a partire dal XIII sec., quando ha prevalso la filosofia aristotelico averroista fondata sulla logica razionale deduttiva, sul principio di causalità e del terzo escluso. Il nuovo corso porterà alla formazione di una mentalità scientifica (dal lt. scio il cui significato originario era: separare, dividere, scindere), alla differenziazione in discipline autonome e sfocerà nel positivismo basato e sulla sperimentazione, nell’ideale di una scienza profana, o, come si preferisce dire oggi, laica, separata e ‘obiettiva’. L’ideale dell’oggettività, da Galileo a Cartesio, ha ufficializzato il dualismo di mondo sacro e mondo profano, corpo e anima, res exstensa e res cogitans. Sappiamo che il profano ha prevalso sul sacro, il corpo sull’anima, la res extensa sulla res cogitans favorendo uno sviluppo prevalentemente tecnico.

Contro il dogma dell’oggettività divenuta ben presto idolatria razionalista, come ci fa notare l’antropologo Gilbert Durand, già dal XIX sec si sono levati alcuni spiriti di filosofi e soprattutto di poeti e artisti che hanno avvertito un’inquietudine e anzi una vera angoscia per un uomo che sentivano pericolosamente subordinato agli oggetti e mutilato nella sua essenza.

Proprio da questa crisi è nato un movimento antropologico che ha sentito il bisogno di nuovamente instaurare un’unica ‘Scienza dell’Uomo’ che abbracciasse i diversi cammini di ricerca sempre interrogandosi sul senso del cammino dell’uomo. Si è avuto un curioso paradosso per cui proprio l’avanzamento della scienza dell’uomo ha riportato l’uomo ad una concezione antropologica della filosofia (G. Durand, Science de l’homme et tradition).

Un ampio panorama delle culture fondate sulla rappresentazione dell’universo come un tutto, un Unus Mundus assieme al ricordo di uomini che hanno dedicato la vita al sapere, pur nella loro ricerca ‘scientifica’ (citiamo solo tra gli altri Johannes Kepler e Isaac Newton famoso alchimista) è passato in rassegna, seppur fugacemente, dal fisico teorico F. David Peat. L’intento dello scienziato, collega del fisico D. Bohm è di avvicinare un pubblico di non specialisti al fenomeno della ‘sincronicità’ che è divenuta uno dei temi su cui poeti, letterati, filosofi, psicologi, fisici si sono nuovamente incontrati nel XX sec. per un discorso non solo interdisciplinare, ma transdisciplinare che sembra far rivivere l’antica modalità sapienziale.

In particolare tale tema nel secolo scorso ha visto lo psicoanalista C. G. Jung e il fisico Wolfang Pauli interagire e confrontarsi per anni sull’ipotesi di un ‘connubio tra materia e psiche’.

Pauli scrive:

“…la complementarità in fisica presenta una profonda analogia con i concetti di ‘coscienza’ e ‘inconscio’ in psicologia, in quanto ogni ‘osservazione’ di contenuti inconsci comporta una ripercussione essenzialmente indeterminabile della coscienza su questi stessi contenuti…

…Il punto di vista definitivo deve far intravedere, tramite l’inconscio dell’uomo moderno, una linea di sviluppo verso una futura descrizione della natura che comprenda unitariamente physis e psyche. “

 Vorremmo soffermarci sulla Conclusione del saggio di Peat: Alla ricerca dell’origine.

Il mio obiettivo, in questo libro, era quello di proporre al posto dell’immagine causale e deterministica del mondo, una nuova dimensione sincronica nella quale mente e materia non sono più considerate due sostanze diverse appartenenti a due ordini separati. In questa nuova dimensione l’universo straordinariamente complesso, è più simile a un organismo vivente che a una macchina. Nella profondità di questo ordine le armonie si sviluppano e si diffondono nei regni materiale e mentale, in forma di disegni e congiunzioni significative, che annunciano l’essenziale unità di tutta la natura” (p. 146).

Significativa la citazione del Cardinal Cusano (1401-1446) e della sua teoria della coincidentia oppositorum. “Sulla porta della coincidenza degli opposti, custodita dall’angelo posto all’ingresso del Paradiso, incomincio a vederti Signore. Tu sei qui, dove parlare, vedere, udire, gustare, toccare, ragionare, sapere, intendere, sono identici: dove il vedere coincide con l’essere visto, l’udire con l’essere udito, il gustare con l’essere gustato, il toccare con l’essere toccato, il parlare con l’udire e il creare con il parlare” (de docta ignorantia, 1449 tr.it la dotta ignoranzaMilano 1988).

E Peat prosegue: “In conclusione, la sincronicità apre una finestra su di un’origine creativa dalle potenzialità infinite: la sorgente dell’intero universo. Gli episodi di sincronicità dimostrano che mente e materia non costituiscono aspetti distinti e separati della natura, ma hanno entrambi origine da un ordine di realtà più profondo…. La sincronicità ha rappresentato il punto di partenza di un percorso che ci ha condotti fino ai confini dell’immaginazione umana…

Ci fermiamo sulle parole ‘immaginazione umana’ scritte da un fisico che ci fanno sperare che un nuovo cammino transdisciplinare possa ridare valore all’uomo e alla sua più alta potenzialità, quella dell’immaginazione creativa che, per usare l’espressione del grande antropologo dell’immaginario G. Durand, è ‘filo di refe tra cielo e terra’.

Maria Pia Rosati


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