Saper dire no

Dal discorso pronunciato da Gilbert Durand
nel maggio 2001 in occasione
del conferimento della medaglia di “Giusto tra le nazioni

Gilbert Durand

L’importante titolo che mi è stato conferito mi impegna al Dovere di Giustizia e a denunciare ciò che per me e per i miei compagni (…) è una pericolosa e pericolosamente mortale negazione di giustizia.

 

No ai carnefici travestiti da vittime 

La definizione del “crimine contro l’umanità” (che comprende l’imperscrittibilità perché fa perdere per sempre l’umanità di coloro che lo hanno commesso) non è solo un codicillo aggiunto a un “crimine di guerra”. No! Il crimine contro l’umanità si applica anche all’orrore di alcuni crimuni civili. (…) Ripetiamo con J. J. Rousseau «ogni indulgenza verso i carnefici è un crimine supplementare contro le vittime». Ogni società di uomini legittimamente consentita, città, nazione o tribù, che si fonda sull’uguaglianza dei diritti degli individui che la compongono, davanti all’ineguaglianza naturale di bambini, vecchi, infermi, donne, deve loro una maggiore protezione. Nessuna indulgenza per i colpevoli di crimini e di sfruttamento verso questi deboli.
Come dice il nostro antico inno: versiamo il sangue impuro, il sangue di esseri che non sono più uomini, di coloro che vengono «a sgozzare i nostri figli e le nostre compagne tra le nostre braccia».

Gilbert Durand
Gilbert Durand

Parafrasando l’amico Albert Camus che nel suo bel romanzo La Peste fa dire al suo eroe: «non potrei mai amare una creazione in cui i bambini sono torturati», possiamo proclamare: «diremo e opporremo No ad ogni politica che tortura, avvilisce e distrugge i bambini!».
E questo tanto più in quanto il secolo passato ha moltiplicato e banalizzato i mezzi di distruzione.
Il XX secolo ha iniziato con il genocidio degli Armeni ed è finito con orribili genocidi africani in cui i nostri alleati Hutu – quasi tutti cattolici – hanno in appena tre mesi, fatto a pezzi 800.000 Tutsi.
Proprio al cuore di questo secolo orribile, dopo i massacri fratricidi di milioni di europei durante la “grande guerra” ci fu questa demenziale shoa perpetrata dal popolo più civilizzato d’Europa, quello dei tedeschi che Madame de Staël, due secoli fa proponeva come acquietante modello agli eccessi rivoluzionari e bellici della Francia. Il campo di concentramento di Buchenwald-Weimar costruiva il suo sinistro universo intorno a quella quercia sotto la quale Goethe un tempo sognava la fraternità degli uomini e dei popoli.

Nel corso di questo funesto XX secolo, che è stato il nostro, abbiamo visto svilupparsi la potenza di tecniche (telefono, radio, collegamenti aerei, T.V., cellulari, collegamenti in rete, ecc.) che hanno centuplicato i mezzi di coloro che vogliono nuocere.

Ogni società, nazionale o regionale, città o tribù, se vuole sopravvivere deve vigilare e provvedere all’autodifesa. La fermezza di un No, senza colpevoli indulgenze, è una volta in più richiesta in un’Europa che sa, per esperienza ripetuta, che può annichilire la sua umanità in giganteschi massacri e in genocidi.

No alle vittime che copiano i carnefici

Non soltanto è ingiusto travestire un carnefice da vittima, ma ancora quale ingiustizia quando le vittime tendono a copiare i carnefici!
È questo un altro No che la nomina di Giusto mi spinge a proclamare.
È No alla profanazione di una Terra Santa che rischia, al limite, di distruggere Gerusalemme, la Città della Pace.
La piccola croce bianca a otto punte che porto sul petto è quella che mi ha conferito L’Ordine Sovrano dei cavalieri ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme. Si tratta del più antico ordine cavalleresco della cristianità, (fondato, mezzo secolo prima delle crociate, nel 1049 da Gerard Tenque de Martigues) installato nei locali conventuali della chiesa del Santo Sepolcro dall’ultimo Califfo fatimida Mostansir Billa, in seguito protetto dalla dinastia ayyubida, e che dovette lasciare la Terra Santa per Rodi due secoli e mezzo dopo.
Sono stato ammesso in questo ordine venerabile, nella chiesa anglicana di Parigi, quaranta anni fa in compagnia dell’illustre islamologo Henry Corbin. Precisiamo, si tratta di un ordine che ha conservato nel 1803 la sua sovranità sotto la protezione degli Zar di Russia. Non bisogna confonderlo con la copia pontificale costituita dal rispettabile Ordine di Malta. Con fierezza questo ordine era appoggiato dai suoi Cavalieri, “La Religione”, e seppe guardare la sua ospitalità spirituale (che Henri Corbin ha commentato come apertura ad alterità spirituali), in un ecumenismo che è sfuggito nel corso dei secoli alle atroci guerre di religione che disonorano l’Europa cristiana.

Proprio questo ecumenismo, vittorioso durante più di venti secoli, ci ha sedotto. Questo Ordine Sovrano “La Religione” è stato considerato dal famoso cavaliere scozzese, segretario di Fénelon, Jean Michel de Ramsay lo zoccolo di tutta una corrente di pensiero nominata per questa ragione “scozzesismo”. L’islamologo Bruno Etienne, mio caro amico, non ha esitato a decretarla “quarta religione del Libro”, dopo Giudaismo, Cristianesimo e Islam.
Abbiamo voluto e siamo riusciti a fare una Università in cui studiare comparando le spiritualità e le etiche di quello che l’Islam chiama Al al Kitab “ le genti del Libro”.
Per quindici anni ho avuto l’onore di essere il vicepresidente di questa Università di Altissimi Studi e durante questi ricchi anni si è affermata e illuminata l’intima convinzione che mi fa gridare ancora: No alla “rottura dei vasi”, No alla lacerazione della “veste senza cuciture”, No alla orribile guerra fratricida e ai terrorismi che insanguinano la Città e la Terra Sante.
Non ho mai fatto parte di quei pacifisti che non volevano nel ‘36-40 nessun armamento che si opponesse all’armamento pletorico dei fascisti, che disertarono nel 1939 quando la “grande sorella” sovietica si alleò al nazismo per smembrare la Polonia e si gettarono nelle braccia del socialista Marcel Déat ebbro dei “mille anni di pace” promessi da Hitler. Io sono stato pacifico, come lo sono di fronte all’incendio che cova in Medio Oriente e rischia di incendiare definitivamente il mondo.
Questo per due ragioni.
La prima e la più banale ragione è che oggi una guerra in medio Oriente non sarebe mai più una “blietzkrieg”, come quella che dichiararono nel 48-49 gli Stati Arabi a Israele e che persero, né una guerra dei “sei giorni” che gli Israeliani nel 1967 scatenarono e vinsero.
Non c’è bisogno di essere Agente di informazioni di 1° classe, per sapere che Arabi e israeliani, Israele e Pakistan o Irak posseggono uno stock di testate nucleari di missili capaci di cancellare ogni forma di vita sul pianeta intero. Le circa 470 armi nucleari stoccate da una parte e dall’altra hanno ognuna una potenza da dieci a cento volte superiore a quella che cancellò dalle carte la città di Hiroshima. Certamente i dirigenti, Ariel Sharon come Arafat, Abda Allah come Saddam Hussein conoscono questo irreparabile pericolo. Ma la prudenza dei capi può essere sicura di controllare la disperazione delle folle e la perversità patologica degli agitatori di folle?

No a una terza guerra mondiale

Da qui la necessità di dire e di far dire No a una terza guerra mondiale che, in pochi minuti farebbe sparire gli uomini come, tempo fa, sparirono dei volgari dinosauri.
La seconda ragione per una volontà di pace, confermata dai miei 15 anni di studi alla Università St Jean (U.S.J.J.) è che esiste una fraternità spirituale e anche sociologica tra le “Genti del Libro” perché si tratta di popoli di un solo Libro.
Il Corano in tutte le Sure riprende i precetti della Bibbia e adotta i fondatori della religione ebraica: Abramo il “padre dei credenti” vi è citato più di 30 volte, Mosé il legislatore 70volte, Noé 25 volte, Gesù citato una ventina di volte e sua madre Maria una quindicina.
E tra Giudei e Arabi c’è un legame ancora più carnale, per così dire, in quanto hanno succhiato lo stesso latte della Terra Santa, sono ambedue di lingue semitiche, di costumi pastorali, tante volte mescolati non soltanto da confronti bellicosi, tutti e due sono popoli fratelli. Proprio questa nazione fraterna, questi popoli del Libro rischiano ogni giorno di dilaniarsi in una irreversibile guerra di religione!
Tale guerra fratricida rischierebbe di macchiare proprio questa Città della Pace, Gerusalemme, in cui fu elevato il tempio di Salomone ospitante il tabernacolo in cui risiedeva la Legge, in cui riposa il Sepolcro vuoto del Messia dei Cristiani, in cui si venera sotto una cupola d’oro la roccia sacra da cui l’ultimo Profeta, guidato dall’Arcangelo Gabriele, ha preso il suo volo per il Cielo dei Cieli e ha incontrato nella sua ascensione Abramo, Mosé e Gesù. Questa terra tre volte Santa rischierebbe di essere annegata nel sangue dei suoi figli.

“I have a dream”

Permettetemi dunque di dire, a mia volta, le celebri parole: “I have a dream”.
Sì, sogno che Israele e la Palestina riconciliati si stringano come fratelli.
Ma no, non è un sogno perché “l’ho visto in Televisione” (e sapete che ai nostri giorni, dominati dai media, ciò che viene visto in televisione è garanzia di Verità).
Ho visto in televisione Elia Barnavi, Ambasciatore di Israele a Parigi, e Leila Chedid, Delegata in Francia dall’autorità palestinese, abbracciarsi con tutto il calore fraterno dell’amicizia.
Dunque ogni miracolo è possibile in questa Terra Santa in cui possono ritrovarsi dopo tanti atroci malintesi due ragazzi – l’uno giudeo, l’altro palestinese – cresciuti un tempo insieme spensierati nello stesso quartiere, la stessa strada della vecchia Gerusalemme.
Questa Terra Santa di 22000 km2 ingrandita dai 10000 della Cisgiordania in cui vivono già 6 milioni di abitanti – giudei e arabi – di cui molti (da uno a due milioni), concentrati nella “Striscia di Gaza” può facilmente assorbire – per progressivi ritorni – i 3 o 4 milioni di palestinesi ingiustamente spoliati da una terra che li ha nutriti durante i secoli. In totale sarebbero una decina di milioni di cugini che terrebbero e valorizzerebbero la Terra promessa. La colonizzazione israeliana con i suoi Kibboutzim ha mostrato che, malgrado i suoi deserti, la terra di Canaan è la terra benedetta da cui può scorrere “il latte e il miele”. Gli abitanti della Terra Santa riconciliati potrebbero fare di quest’ultima l’immenso frutteto e l’ovile dell’Europa e del Gran Magreb alleandosi per una irigazione indispensabile e feconda con i loro vicini della Giordania, del Libano, della Siria.

Ricordiamo che il Belgio industrioso fa vivere 10 milioni di cittadini (che hanno a loro volta problemi di particolarismo linguistico e culturale) su 30.000 Km2.
Ma se anche vogliamo guardare ad un clima e a delle etnie più vicine a quelle di Canaan possiamo considerare l’Algeria in cui 22 milioni di popolazione (su un totale di 25 milioni), metà berberi e metà arabi, si confrontano in una striscia mediterranea di 500.000 Km 2, di cui soltanto 200.000 sono sfruttabili, dal momento che sono presenti grossi massicci montagnosi sia a Nord che a Sud.
Non è dunque utopico assegnare 30.000 Km2 di suolo fertile di Canaan a una popolazione di 10 milioni di abitanti di cultura e di mentalità “cugine”.
Ma la prima condizione per una futura riconciliazione che cessi ogni velleità di colpire l’innocente per terrorizzare l’avversario.
E poiché noi resistenti siamo anche stati battezzati come “terroristi” vorrei rivolgermi fraternamente ai terroristi che da un campo e dall’altro infieriscono in Canaan.

La parola “terrorista”, che non abbiamo mai dato a noi stessi, è già una trappola dell’avversario che consiste nell’escluderci da ogni intenzione pacifica e a rinchiuderci nel male. Mi ricordo della povera schiera di giovani incatenati, sporchi, pieni di pidocchi, non rasati da settimane (di cui io facevo parte) che dei vivaci ufficiali Feldgrau in piacevole permesso a Parigi fotografavano febbrilmente ridendo e trattando da “terroristi!” al momento del passaggio per Copiègne alla Gare du Nord.
Ben presto ho dovuto rendermi conto che questo “terrorismo” blocca ogni possibile soluzione di un combattimento e soprattutto non è mai vittoria, nemmeno per le ideologie che sbandiera come un vessillo.
Dal 1941 lo gridano i 50 ostaggi fucilati a Nantes e a Chateaubriand per l’assassinio sconsiderato di un colonnello della Wermacht.
L’assassinio del Reichsprotektor di Bohème, Heydrich nel maggio ‘42 scatenò dieci giorni dopo una terribile repressione sotto il comando dello Standartenfürer Max Rostock: il saccheggio, la deportazione senza ritorno di bambini e di donne, l’esecuzione immediata di tutti gli uomini del villaggio di Lidice. L’arresto a Praga, ad opera della Gestapo di 6000 sospetti di cui 3000 morirono sotto spaventose torture.
E del resto di fronte a tali atti ci si può semppre domandare: “perché?”, “a chi convengono questi atti?”
Non sono mai i coraggiosi kamikaze a tirare le fila!
In Francia, dopo lo scatenamento dell’operazione Barbarossa contro l’alleato sovietico il 22 giugno 1941, si vide bene che il terrorismo contro l’armata tedesca e le pesanti rappresaglie di quest’ultima erano manipolate dal KGB per fissare, grazie all’insicurezza così creata, il massimo di truppe naziste all’Ovest. E la scomparsa di Heydrich, malgrado i grandiosi funerali che gli furono fatti dal Reich a Berlino, non fu senza un qualche vantaggio dei suoi colleghi della S.S. Inoltre permise di giustificare la deportazione massiccia dei Giudei cechi verso i campi della morte.

Ma ahimé, anche in terra Santa i terrorismi furono organizzati dall’esterno: la terribile distruzione del villaggio palestinese di Der Yanine nell’aprile 1948 fu fatta grazie ai blindati cechi forniti dall’U.R.S.S. all’Irgoun e allo Stern (guerra fredda obbliga) in quanto nemici di fatto degli inglesi. Al contrario, dal 1956, poiché Ben Gourion avesse segretamente negoziato con gli inglesi e i Francesi, Stalin armò gli arabi e per prima l’armata egiziana: il terrorismo diveniva allora l’arma terribile dei Revisionisti arabi e di al Fatah.
In tutti questi casi deplorevoli, da una parte possiamo dire che mai i terrorismi hanno impegnato azioni che non fossero motivate da visioni straniere e mai e poi mai, in Canaan come in Europa, il terrorismo ha portato ad una vittoria ideologica o etica: né con l’Irgou o il Fatah in Oriente, né con le Brigate rosse o le “frazioni di Armata Rossa” in Europa.
Il paradigma di tale situazione fu, ahimé, francese durante gli undici mesi in cui fu istituito (dal 5 settembre 1793 al 28 luglio 1794) il Terrore. Quest’ultimo fece ghigliottinare in Francia circa 40.000 vittime sospette. In due mesi a Parigi 1376 sfortunati furono trascinati sul patibolo.

Ora non soltanto gli istigatori di questo terrorismo di stato, Robespierre, Saint Juste, Fouquier-Tinville stesso salirono sul patibolo, ma i loro eccessi trascinarono gli eccessi del Terrore bianco e ancor peggio: la sparizione progressiva in pochi anni della Ia repubblica che fu sostituita dalla Restaurazione e dall’Impero di Napoleone. Perché un fine utopico non giustifica mai dei mezzi ignobili, in quanto è proprio la validità, il “buon fondamento dei mezzi” che costruisce la Giustizia del fine.
Certamente non pecchiamo di ingenuità e sappiamo, soprattutto dopo mezzo secolo di lotte omicide, che molte difficoltà si ergono contro la riconciliazione sperata.
La prima, essenziale agli occhi di un sociologo è rappresentata dai dislivelli, se non addirittura da autentici crepacci, tra le popolazioni parcheggiate nei ghetti o “nei campi” e quelle delle diaspore.

Per numerosi esempi (sanzalas di schiavi neri contro popolazioni bianche mobili in America, ghetti che parcheggiavano le popolazioni dei giudei – dal XVI sec. – per lunghi secoli all’interno della cristianità europea e finalmente miserabili campi di palestinesi in Canaan di contro ad una ricca diaspora palestinese che si incontra nel Maghreb) sappiamo che la formazione di ghetti o di spazi di concentramento diminuisce presso gli abitanti le facoltà di adattamento, di iniziativa e favorisce così il calo sociale culturale, intellettuale in rapporto alle popolazioni libere, mobili, di cui le diaspore danno tanti esempi.
Dunque la Cananea di domani si troverà costretta ad attenuare e finalmente a cancellare in molte situazioni (scuole, servizi nazionali per tutti, movimenti di gioventù), come tentano di fare dopo un secolo e mezzo le Americhe e recentemente l’Africa del Sud, le segregazioni generate dall’apartheid, dai ghetti, dai campi o dalle riserve.
Infine al cuore di questo problema si innalza la questione di Gerusalemme. E’ evidente, per ragione storica costante, che la Città Santa non può essere la proprietà gelosa, fosse pure “capitale” di una sola delle spiritualità della gente del Libro.

La “Città di Pace”, per sua stessa definizione, appartiene a tutti i suoi figli: alla stirpe di Davide e di Salomone, al miracolo della morte e della resurrezione dei cristiani, al “mirai” fondatore del sigillo della profezia.

Al momento il male minore sarebbe di confidare il pacifico destino della Città della Pace all’O.N.U. (se non fosse ridotta ad una macchina impotente con i suoi caschi blu così inefficaci in Bosnia e le teste di cuoio ben chiuse nei grandi standings degli edifici newyorkesi).

Il quadro di un sogno!

Ma lasciatemi proporre ancora il quadro di un sogno!
Immaginate una monarchia suprema che non sia né giudea, né araba, né cristiana.
Che partecipi, forse, a questa segreta e “quarta” Religione del libro, che sia dunque al di là, al di dentro e dunque al di sotto di ogni querelle confessionale.
Giusto tra i Giusti, ad un tempo Maestro di Giustizia, secondo l’espressione essenica, “Papa angelico” atteso dai cristiani di Roma, Kaliffo, Comandante dei Credenti, Madhi come lo spera l’Islam, esso stesso tanto lacerato dopo i secoli.

Ebbene la storia della Terra Santa ha già conosciuto concretamente nel XII sec. un tale provvidenziale personaggio. Non arabo poiché figlio di un ufficiale kurdo al servizio dei turchi Selgiukidi, Sultano d’Egitto che ha eliminato lo scisma sanguinoso che esisteva da due secoli tra gli sciiti, fatimidi e i sunniti, che seppe emanciparsi totalmente dai kaliffi abassidi che regnavano a Bagdad e all’Est persiano dell’Islam, che fece prigioniero il re franco di Gerusalemme Guy di Lusignan, vittorioso delle crociate al quale tuttavia egli restituì Acri, Jaffa e Ascalon, garantendo a Cristiani e Giudei il libero accesso ai loro luoghi santi. Impedì ai fanatici vittoriosi di radere al suolo la chiesa del Santo Sepolcro dove aveva la sua sede il nostro ordine.
Egli testimoniò una grandissima umanità ai cavalieri prigionieri al momento della sua vittoria in Tiberiade, Dante non esitò a collocare proprio davanti alle porte del Paradiso questo paladino il cui solo torto, ai suoi occhi, era di aver ignorato il Cristo. Inoltre questo sultano domandò ed ottenne nel 1166 dal connestabile Ottone di Thonon, suo nemico per il quale aveva la più grande stima, di essere armato cavaliere da questa mano cristiana.

Ancora una volta non è un sogno che sto evocando difronte a voi, ma un fatto registrato dalla storia: la vita del glorioso Sala-ed-Din Yousouf ibn Ayyoub di cui i cristiani hanno abbreviato il nome in Saladino.
Che questi due sogni (già tutti e due realizzati seppure per un istante) fermino, proprio come si ferma un’immagine, la speranza che ci siano sempre su questa terra uomini (quelli che gli angeli della Natività cristiana chiamano “Uomini di buona volontà” e che i Giudei chiamano “Giusti”) che sappiano, sempre e ovunque, dire NO a ciò che rischia di tradire l’umanità.

Gilbert Durand


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