en archei en ho logos…

Giuseppe Lampis

Per Claude Levi-Strauss (Primitivi e civilizzati, Milano 1997), la cultura non sorge con la fabbricazione di strumenti ma con la parola. L’uomo non si stacca dalla natura, ovvero dalla eredità biologica, con la produzione di oggetti ma parlando e comunicando. Il primo uomo dunque non è il faber ma il comunicatore e in sostanza il poeta.

Lo avevano già detto i romantici e Croce.

enarcheAnche per il paleontologo André Leroi-Gourhan la cultura nasce con il linguaggio – come per Levi-Strauss -.

Tutti concordano che il presupposto essenziale perché l’uomo fabbrichi e lavori è che gli uomini riuniti in comunità parlino fra di loro, e che tale comunicazione costituisca un sistema indipendente dalla materia.

Non deve cioè trattarsi di comunicazione del tipo di quella chimica propria delle piante fra di loro o di quella delle formiche, ancora tutta incorporata nella materia: il linguaggio autentico nasce quando il suo sistema di segni diviene un mondo a sé rispetto alla materia.

Ora, perché si dia linguaggio, non basta che il singolo parli, occorre che il suo vicino capisca.

Il linguaggio è pertanto un evento che precede l’individuo: la comunicazione non è una creazione dell’individuo, e se lo fosse ognuno non parlerebbe che con se stesso e dunque non parlerebbe affatto.

L’individuo che parla in tanto può parlare in quanto già da prima si è aperta la possibilità di comunicare e di intendersi. La comunicazione interpersonale precede e fonda il singolo che parla.

Questo fatto conduce a conseguenze che l’etnologo non trae fino in fondo.

Il fatto che il linguaggio (la base della cultura, e in definitiva la cultura tout court) presupponga una struttura metaindividuale, anzi sia una struttura metaindividuale, lo sottrae dalla sfera della mera innovazione culturale e lo riporta in una sfera più appropriata di tipo biologico-ereditario. Sottratto alla creazione individuale esso acquista il carattere di una specie di istinto; esso risponderebbe al codice genetico comune alla specie.

Cosicché, dato che linguaggio e cultura sono esattamente la stessa cosa, la cultura stessa in un certo senso non sarebbe più un fatto culturale. Bensì, in quanto sistema non influenzato dalla innovazione culturale, sarebbe appunto natura anche essa.

Ora, siccome gli etnologi intendono la natura come un prius, e la cultura come un dato secondario, la conseguenza di questo ragionamento è che, invece, sarà il linguaggio a essere il prius.

Ci ritroviamo così sulla antica strada del platonismo. Da Hegel al vangelo di Giovanni: en archei en ho logos

Cercando le origini della cultura, l’antropologia è arrivata inevitabilmente a scoprire che le origini non hanno di per sé origine, ma esistono da sempre; che ciò che c’è per primo, non ha un’origine, per così dire.

Una scienza che era nata – da una costola della sociologia – contro la metafisica, una scienza che era nata su un presupposto (metodologico) rousseauiano secondo cui, disincrostando la civiltà, si ritrova il selvaggio originale nudo e crudo, approda infine a un rovesciamento perfetto delle sue pretese.

Dopo avere scoperto che nessun selvaggio è un selvaggio vero, scopre di converso che il vero selvaggio è il civilizzato. E conclude infine che la cultura non è creata ma creante, non creatura ma creatore (un creatore che può anche sbagliare: ma questo è un altro problema).

Alla fin fine, tutta la parabola etnologica e antropologica si è autocapovolta nel suo esatto contrario: nella metafisica e nella religione. E si appalesa come un episodio della crisi della coscienza occidentale e europea.

Giuseppe Lampis


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