Il cristianesimo e il dubbio

Indichiamo alcuni paragrafi di riflessione sul tema del cristianesimo
tratti dal saggio Estremadura di Giuseppe Lampis

Giuseppe Lampis

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Joos van Wassenhove, S.Agostino d'Ippona, 1474, Louvre, Parigi
Joos van Wassenhove, S.Agostino d’Ippona, 1474, Louvre, Parigi

Dice Agostino che la fede costituisce la essenza del logos, che la fede è la radice intrinseca del pensare vero. La fede è la certezza che nasce dall’assenso inevitabile, dal non potere non dire sì. Se penso, nel pensare mi si apre una rivelazione di realtà, di forza fondante, un’affermazione fondamentale: penso, sono. Nella certezza, nell’evento psicologico della certezza, non resto tuttavia chiuso in un fittizio giro di ombre, in essa si prolunga e consegna il rapporto con la forza che fa dire sì.

2

Le confessioni di Agostino. Il tu, il chi. La misurazione della lontananza e dell’avvicinamento al tu, al chi. Una biografia come destino universale. Ascoltare dentro di sé il prepararsi e l’avvento flagrante della risposta e ripensarli mentre si distribuiscono nella propria piccola parabola. Una metafora dell’incarnazione. Il tema della morte e della mortalità si trasforma nel tema del peccato e della disposizione al peccato: il male non è dato oggettivo assoluto, bensì sorge dal soggetto. Le idee dell’epoca dell’adesione al manicheismo sembrano lontane; eppure qualcosa non convince; sotto la celebrazione del soggetto glorioso, del Dio soggettivo per eccellenza, resta qualcosa di oscuro. A quel Dio appartiene un potere troppo forte.

3

Argumentum augustinianumAnche le cose al di sotto di Dio sono buone, infatti potendo andare a male in tanto lo possono in quanto sono buone. In breve, la corruttibilità, la possibilità di subire un danno, appartiene a cose che hanno da perdere un bene. In particolare, le cose hanno da perdere il proprio esistere stesso che, appunto, è bene. Di converso, Dio si impone come bene sommo e inattaccabile in nessun modo dal male in quanto perfettamente incorruttibile e immodificabile.

Agostino usò questo argomento per valorizzare il mondo contro la gnosi manichea. L’affermazione usata nell’argomento che la corruttibilità equivalga a essere suscettibili di subire un danno, e che per tale ragione sia male, contiene tuttavia un presupposto di dubbia coerenza con il fine perseguito.

La sostanza dell’argomento poggia sull’assunto che il male consista nel divenire. Infatti, non sarebbe male tanto l’esistere (si esiste in qualche modo anche dopo la corruzione e il danno), quanto la disposizione a mutare e a passare in altro.

Però, il passaggio dall’essere una cosa al non essere più quella cosa non equivale affatto a uscire dall’essere e sebbene si muti in altro si resta comunque nell’essere. Per quale antica diffidenza si può ritenere, allora, che il divenire, che resta comunque nell’essere e dunque nel bene, sia negativo? Si osservi che nell’argomento non si dice che sia negativo l’essere nuovo nel quale il precedente mutando è divenuto, bensì che negativo sia il fatto del mutare, il fatto di perdere essere ancorchè se ne acquisti altro.

Il presupposto sottostante a tutto il ragionamento si può esplicitare così: si muta solo per privazione di essere e di bene; ne deve conseguire che la sequenza dei divenienti formi una scala discendente verso l’affievolimento e il limite del niente. In ultima analisi, il divenire viene concepito come il risultato di una attrazione verso il basso e il baratro da parte di un potere antitetico al bene.

Agostino, se quanto abbiamo rappresentato è veramente il suo presupposto sottinteso, sembrerebbe non avere mai lasciato cadere il nucleo essenziale del credo manicheo. Egli, nelle movenze più profonde del suo pensiero, sarebbe restato uno gnostico.

Non perciò non era autentico cristiano, anzi. Il cristianesimo medievale si muove nel suo solco e questo fatto inequivoco ci fa disporre della prova storica che il cristianesimo abbia percorso i suoi primi mille anni conservando in sé un nucleo esoterico. Una contraddizione?

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Il sì di Maria è il sì di una creatura carnale, tanto carnale da essere capace di dare fondo a tutte le potenze della carnalità? Nell’accettazione di partorire Dio sta il culmine del suo destino di creatura: vivere Dio nella carne.

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Ermeneutica. Ormai la riflessione filosofica ha concluso la sua parabola convertendo la domanda sull’essere nella domanda sulla persona. E questa domanda va aggirandosi a sua volta nella inevitabile ricerca dell’interlocutore che la possa costituire.

Dov’è questo interlocutore fondamentale e assoluto? Non lo ha ancora trovato e, nell’attesa, assoluta sembra essere divenuta la domanda stessa, l’interrogare stesso, l’interlocuzione stessa, che scopre in ogni risposta una nuova inesorabile domanda.

Eppure ogni domanda nasce da un punto fermo che a essa, perché possa sorgere, deve essere presupposto. La domanda viene costitutivamente dopo la risposta. Nessuna domanda potrebbe porsi senza rivolgersi a un fondo inespresso che aspetti di essere interrogato. Nessuna domanda può esaurire e sostituire il significato: quello che in antico si diceva, appunto, “essere”.

Aveva visto bene Heidegger che la struttura essenziale della domanda riguarda i rapporti tra chi la pone e l’oggetto su cui verte.

Studiare la domanda attuale porta a indagare le ragioni per le quali questi rapporti si sono fatti così critici da spingere il domandante a sostituirsi all’oggetto assoluto della ricerca.

Di sfuggita, si può aggiungere anche un’altra considerazione: la domanda originaria risulta tale perché non si è ancora sdoppiata in domanda per avere e domanda per sapere; al contrario, essa si compone ancora di una densità e di uno spessore che precede la separazione tra ricerca intellettuale e ricerca pratica, tra quesito e petizione. Il richiedente, in origine, non chiede astrattamente, ma celebra la presa.

Rublev, S. Paolo, c. 1410
Rublev, S. Paolo, c. 1410

Analogo destino ha riguardato la preghiera. Le preghiere originali non hanno il carattere di richieste da sudditi rivolte a un sovrano lontano imperscrutabile e arbitrario, ma di emanazioni fulminanti, di voci sonore creatrici di realtà effettiva.

6

Siamo stati pensati in connessione con l’assoluto proprio perché siamo finiti.

L’ultima formulazione di questa intuizione fu di Hegel, che distinse la cattiva infinità dalla buona. La cattiva consistendo nella linea aperta indefinita e la buona nel cerchio.

Nietzsche ha ripreso la stessa intuizione nella figura dell’eterno ritorno, forse.

Siamo assoluti perché il passato si conserva per sempre, perché il fatto non si esaurisce nel niente e non può essere nientificato, neanche da Dio. Neanche Dio potrebbe rifare diversamente ciò che già è stato fatto, neanche Lui potrebbe fare sì che ciò che è stato non sia stato. Ciò che Dio fa lo fa nell’istante eterno e non può darsi che egli faccia e disfaccia nel medesimo punto. Disfare è possibile a patto che il tempo di un fare sia diverso dal tempo di un altro fare. In altre parole, il nulla è possibile unicamente nel tempo.

Siamo sempre e comunque nell’eterno. Siamo, per la sola ragione che siamo nell’eterno.

Il finito è niente se viene preso come tale in sé stesso (Hegel, Logica ). Esso è soltanto nell’infinito, e può essere nell’infinito perché è finito. Condizione della assolutizzazione del finito è la sua finitezza. Il finito sta nell’infinito proprio perché ha la natura di finito. E non si dà assoluto se non come totalità dei finiti. E questo infinito è un cerchio, perché solo un cerchio è un tutto.

Se si potesse tornare sul già fatto, nulla sarebbe fatto, tutto sarebbe indefinito e irreale. Se il già fatto si consumasse, bisognerebbe rifarlo continuamente per evitare al cosmo di precipitare nell’abisso dello svuotamento. Il niente non prevarrebbe fino a quando si riuscisse a ripartire da un residuo duro incomprimibile. L’idea che il divenire mangi l’essere esige un artefice tragico che assuma su di sé lo sforzo immane della rimessa in moto del cosmo.

7

Rahner (Karl). La domanda implica la risposta, che è inesauribile e misteriosa altrimenti la domanda non può sorgere. L’uomo è la domanda e Dio la risposta. Ma la domanda costituisce l’uomo e dunque non gli appartiene, allora Dio è anche la domanda che chiama la risposta. Dio si interroga e comunica con sé attraverso l’uomo che è la sua domanda a sé stesso. L’uomo è Gesù, la parola. Questo è mistero. E mistero significa verità non spiegabile razionalmente sebbene evidente: verità silenziosa, verità alla fine delle parole. L’evidenza è la parola di Dio, Dio che si autointerroga esprimendosi nell’eterno rinvio di domanda e risposta. Un Dio in cerca di sé stesso. Egli è in crisi e l’uomo è la sua crisi.

8

La Lettera ai Romani di Paolo.

E se si scoprisse da un documento inequivocabile che, sulla croce, il Figlio dell’Uomo pensava disperatamente a sé stesso e al proprio insuccesso di ribelle visionario?

Chi ha saputo costruire una grande speranza oltre le apparenze è Paolo, che conosceva la insuperabilità del peccato e della morte, la potenza della delusione e del tradimento.

Paolo giustifica i traditori. Gli uomini reali, del resto, tali sono; non ci poteva essere cristianesimo senza fratelli e padri traditori fra gli ebrei. Il cristianesimo appartiene alla loro storia, lo si vedrà alla fine.

9

Noi diamo il nome di domanda e di ricerca a un effimero episodio della nostra insufficienza e abbiamo preteso di farne derivare la civiltà, intendendo che la civiltà sia la risposta. E invece una formazione che si risolve nel circuito invalicabile di domande e risposte è figlia della violenza sopraffattrice che assume i dialoganti come fondatori di valori. Grave errore. Coloro che cercano sono scambiati per coloro che trovano.

Ma ciò che deve essere trovato non era, o non era più, in loro, proprio a cagione del fatto che hanno cominciato a cercarlo.

La domanda decisiva e radicale viene posta prima e oltre il dialogo.

Ogni dialogo ha sempre e radicalmente natura di sofisma. L’unico che ha diritto di fare domande, perché fa quelle vere, è Dio: “Adamo, uomo, che cosa hai fatto?”

 

10

Il passaggio dall’inespresso all’espresso aggiunge o no? E, se l’espressione aggiunge e innova, non è esso, allora, il principio?

 

11

Lévinas. Il totalmente altro è il tutto. L’altro è il limite, l’orizzonte, il resto; il resto che, completando, decide il senso. L’altro è l’oltre, il trans; e l’assolutamente altro è la fine della duplicità, del dubbio, dell’ambiguo, del possibile.

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Zweifeln. La parola tedesca traduce sfacciatamente la parola latina, dubitare, fare il due. Il dubbio nasce dalla dissoluzione della convergenza degli opposti. Il “du bium” è il sentimento del due. Il dubbio interviene se si sospetta che l’altro sia irriducibile all’uno e possa revocarlo. Il dubbio si basa sull’attesa del dissimile. Il dubbio nasce quando la molteplicità si impone come limite insormontabile. Dal dubbio nasce l’etica, la volontà, il dirigersi verso fini, il vivere come problema, come dramma, come persona. Dal dubbio nasce la religione della salvezza, l’incarnazione di Dio. Infatti il dubbio configura uno stato di caduta e di allontanamento. Pensare al nesso dubbio-verità equivale a pensare che la verità sia affermazione e obiettivo da guadagnare.

Ma non è l’uno che va dimostrato, non è la verità che va fondata, non è la vita che va motivata. Ciò che non si spiega è invece l’errore, la morte, il due. Non si può, infatti, uscire dal tutto: tutto è tutto in tutto, non si può che rimanervi dentro e ogni via è già stata percorsa.

Giuseppe Lampis

Estremadura, Mythos, Roma 2008;
dalle pp. 51-58 (cap. IV)

(leggi la Prefazione di Maria Pia Rosati al saggio Estremadura)

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