Il Drago in Asia e in Europa Diversità delle accezioni simboliche
(da átopon Vol. VI)

(traduzione di Maria Pia Rosati)

G. Durand - C. Sun

L’Europa gode di una vantata tradizione di lotta contro il drago, a partire da San Giorgio, per non dire dall’arcangelo Michele, fino al capitano Nemo del famoso romanzo di Giulio Verne.
Completamente diversa la tradizione dell’Asia continentale e specialmente della Cina. Cercheremo di esporne le cause in un breve saggio a due mani. Inizialmente ci soffermeremo a descrivere l’essenziale delle due accezioni simboliche del drago. La prima parte consisterà in un’esposizione dei simbolismi del drago in Occidente e in Oriente, soprattutto in Cina.

La seconda parte sarà consacrata all’interpretazione, cioè alla spiegazione della profonda divergenza di valutazione simbolica del drago.

I parte: i luoghi simbolici

L’Europa sauroctona

n Europa la lista dei santi sauroctoni – cioè degli uccisori di draghi – non si limita all’Arcangelo Michele e a San Giorgio di Cappadocia, anche se questi due eroi sono i più eminenti.

S, Giorgio e il drago (Carpaccio)
S, Giorgio e il drago (Carpaccio)

San Michele Arcangelo “l’archistratega” ha due funzioni essenziali: quella di colui che pesa le anime e, quella, che qui ci interessa particolarmente, di colui che abbatte il drago, titolo datogli da Apocalisse XII, 7. La sacralizzazione della spada sauroctona figura già in I, 16 dove la “spada a due fendenti” esce dalla bocca del Figlio dell’Uomo. Come il “drago” del capitolo XII, la Bestia del XIII possiede “sette teste” ed è stata confermata nella sua potenza dal “Grande Drago” (XIII, 11). Come “la Bestia che sale dal mare” duplica, per così dire, il Grande Drago, essa stessa è duplicata (XIII, 11) dalla “Bestia che sale dalla terra”, signora della folgore (XII, 13) e che “parla come un Drago” (XIII, 11).

Troviamo un’altra duplicazione al capitolo XVII: “la bestia scarlatta dalle sette teste” è cavalcata da Babilonia “la Grande Prostituta”. Abbiamo qui un esempio di quelle famose ridondanze che segnalano i procedimenti mitologici.

Fin dal VII secolo (affresco del monte Gargano in Italia) san Michele è rappresentato mentre affronta il drago a sette teste dell’Apocalisse. Ancora nel XII secolo l’affresco della Cattedrale di Puy (Francia) rappresenta il gigantesco Arcangelo, la cui misura è 5 metri e 55 cm, che sta in piedi sul Drago.

Inutile ricordare che l’Arcangelo è il protettore di Bruxelles. Era già stato protettore di Roma al momento dell’epidemia di peste del 590: lo vediamo infatti ergersi, raffigurato mentre rimette la spada nel fodero, sulla cima di Castel Sant’Angelo che, non dobbiamo dimenticare, è la tomba dell’Imperatore pagano Adriano. “Monsignor San Michele” diviene il protettore del reame di Francia sotto i Valois e nel 1469 Luigi XI fonda l’ordine della cavalleria di San Michele1.

Quanto a San Giorgio, l’ufficiale romano di Cappadocia, patrono dei Cavalieri Teutonici in Germania, santo nazionale e patrono dell’ordine della Giarrettiera in Inghilterra, ricordiamo come inizialmente sia raffigurato come santo sauroctono che si slancia a cavallo con la spada levata su un drago che egli atterra, mentre libera la figlia di un re, prigioniera del mostro. Tale episodio è illustrato tante volte da Raffaello (Museo del Louvre), Schongauer, Bellini e di esso si è ricordato l’Ariosto nel suo Orlando Furioso2.

Ma la lista dei sauroctoni è molto lunga: San Bernardo di Comminga, San Beato di Thun, San Marcello di Parigi, ecc. senza contare i santi che catturano i dragoni, come Santa Margherita e Santa Marta3.

Vogliamo qui sottolineare soltanto due punti importanti.

Innanzitutto in Occidente il drago è sempre una figura negativa che, a seconda degli avatars delle religioni cristiane, sarà facile allegoria di ogni avversario del cristianesimo: “Anticristo”, Satana, pagano di Roma o di Babilonia, moro, miscredente, infedele, riformato per i papisti, papa per i protestanti, giudeo per i nazisti, nazista per gli anglosassoni.

In secondo luogo, nel racconto fondatore dell’immaginario cristiano del drago (vedremo più in là che ci sono altri racconti fondatori anteriori al cristianesimo) l’opera compiuta dal sauroctono è la liberazione di una donna (principessa, o, nell’Apocalisse, mulier amicta sole , donna luminosa, vestita di sole): il drago nefasto è a un tempo assimilato alla luna (San B ernardo) “calpestata sotto i piedi” e soprattutto visto come un mostro gigantesco capace di inghiottire tutto vomitando le acque del diluvio. Il simbolismo dell’acqua nefasta ( Apoc. XIII) è ancora rafforzato dall’apparizione della “Bestia che sale dal mare” e che porta la Grande Prostituta.

Sottolineiamo dunque questa poco comune dissociazione tra la principessa o la vergine salvata dal sauroctono e i simboli abituali della femminilità : l’acqua e la luna, e al limite la malafemmina, la Prostituta. Ci sono infatti due femminilità : quella di Eva tentata da un Satana dal corpo di serpente, quella di Maria “immacolata” mutans Hevae nomen .

A conclusione di questo rapido sguardo sull’archetipo occidentale del sauroctono, vogliamo dare una definizione del termine drago (che troviamo quasi simile nello spagnolo dragón , nell’inglese dragon , nel tedesco Drache) che viene dal greco antico drakon la cui radice dark significa qualcosa che ha a che fare con la visione, lo sguardo. Da qui il verbo dérkomai “vedere”, che dà dedorkos colui che intende, il conoscitore. Del resto nel folklore francese4 molto frequentemente ritroviamo il termine Drac nei nomi dei fiumi (cfr. il nome dell’affluente dell’Isère a Grenoble e degli affluenti del bacino del Rodano e cfr. ancora le leggende simili in Berry, in Auvergne, nella Franca-Contea ecc.). Questo termine è legato – certamente in maniera nefasta – a rappresentazioni metà -femminili, metà -ittiomorfe o ofidiche. I geni proteiformi dei fiumi sono nominati Draci , e una leggenda del Rodano racconta che una ragazza costretta da un Drago a mangiare un pasticcio confezionato con carne di serpente, essendosi toccata per errore gli occhi «ebbe il potere di vedere chiaro sott’acqua»5.

In Europa dunque, pur facendo astrazione al carico peggiorativo di cui l’occidente grava il drago, intorno alla radice indoeuropea “dark” e ai suoi eponimi, fiorisce una costellazione ripetuta di immagini che gravitano attorno a tre poli: la visione, la chiaroveggenza, gli attributi acquatici saurici, ofidici o ittiomorfi, alcuni tratti della femminilità lunare più vicini alla fecondità che alla verginità. Questo stesso nucleo semantico presenta una completa inversione assiologica che possiamo notare studiando il “drago” in Oriente e soprattutto nella vasta e perenne cultura cinese.

Venerazione cinese del Drago 

Un fatto recente, che è stato al centro della stampa e dei media cinesi,6 può essere emblematicamente riportato come preludio alla valorizzazione estremamente positiva del drago in Cina.

Per il cinquantesimo anniversario dell’O.N.U. nel 1995, la Repubblica Popolare della Cina ha offerto un tripode gigante di una tonnellata e mezza ( ding , il tripode inventato dal primo dei cinque imperatori leggendari, “ l’Imperatore Giallo”, è l’emblema del potere del sovrano dispensatore di abbondanza, di giustizia, di concordia e di felicità ). Possiamo paragonare ai “calderoni di abbondanza” e al Graal occidentale7 questo “tripode meraviglioso del secolo” ( shi-ji-bao-ding ). Sui fianchi di bronzo di due metri e un decimetro (simbolizzanti il secondo millennio che termina: venti secoli più uno!) sono figurati cinquantasei draghi che rappresentano le cinquantasei etnie che la Cina raccoglie. La relazione tra il ding , le popolazioni della Cina e i draghi, è anche significata dai nove tripodi che Yu-il-Grande, fondatore della prima dinastia storica della Cina (la dinastia degli Xia, 2207 a. C.) fece fondere a partire da un tributo di metallo portato dai nove capi delle province esterne al dominio regale. L’origine di questo emblema del potere risale all’età del bronzo e permane ufficialmente fino al 1912, data del crollo dell’impero Mandchou. «Il drago ha dunque in Cina un’esistenza di quattro se non cinque millenni…»8.

Certamente il drago, all’alba mitologica dei sovrani fondatori, gioca un ruolo ambiguo nella leggenda di Yu-il-Grande. Questi è stato ad un tempo vincitore della Bestia Divina della Palude del Tuono, proprio come i nostri occidentali sauroctoni, ha fatto con la pelle della Bestia un Tamburo, è ancora signore delle acque, regola e disciplina i corsi dei fiumi e fonda la prima dinastia (quella di Xia) che ha per emblema araldico il drago. Ma questa ambiguità è presto eliminata al momento della salita al trono del famoso “Imperatore Giallo” Houang Di , (il giallo è il colore della terra, quinto elemento, posto al centro degli altri quattro) come “Figlio del cielo”: il suo potere poggia su un drago signore delle acque celesti, cioè ad un tempo delle nuvole, della pioggia e del tuono.

Quando si passò dalle semplici regalità ad un Impero che abbracciava più ampie federazioni l’imperatore ereditò ( huangdi ), per così dire, da ding , il potere benefico del drago (dinastia degli Han, 206 a. C.). Questo drago può allora realmente significare, in qualche modo “al quadrato”, la federazione delle nazioni dell’Impero e l’Imperatore stesso. La teriomorfia composita con significato imperiale non è esclusivamente cinese: i Keroubim assirobabilonesi che la Bibbia erediterà come “trono di Dio”, “guardiani del tesoro” sono l’emblema del potere, del “tesoro” dei re (imperatori di Assur e di Ninive9).

La Sfinge egiziana dalla testa di faraone svolge lo stesso ruolo di «potenza sovrana, impietosa verso i ribelli, protettrice dei buoni10» .

Il drago multiforme trasmette dunque “il mandato del cielo”, è per così dire la chiaroveggenza dell’Imperatore e la Saggezza del Saggio: Confucio chiama Lao-Tsi “Drago”, proprio come il Demiurgo Fou-hi chiamava i suoi alti dignitari. I mobili, i vestiti, il trono del Figlio del Cielo sono ornati di draghi. Quindi il fantastico animale è tra i più benefici.

Secondo un fenomeno di imperialismo simbolico, ben studiato a Roma da Dumézil11il drago arriva a captare elementi simbolici contraddittori: la semplice immagine del rettile gigante dalla testa umana, grifato e qualche volta alato, si complica. Il Drago Celeste ( Tian Long ) ha testa di cammello, corna di cervo, occhi di coniglio, collo di serpente, ventre di ranocchia, artigli di avvoltoio, zampe di tigre, orecchie di vacca, barba di capra, ecc. Segnaliamo di passaggio che in questa lista dei nove attributi non figurano le ali. Il drago collegato al principio Yang nella sua caratteristica essenziale di energia, di potenza, di crescita, è la Primavera; ma essendo la pioggia benefica, il tuono della Primavera, la potenza dell’acqua è anche Yin . Ciò spiega il fatto che esso sputi talvolta acqua, talvolta fuoco, come la nube del temporale. È la ragione per cui spesso l’arte ornamentale cinese rappresenta due dragoni, molto vicini nella loro figurazione alla dualitudine del Tai-ji-Tu (simbolo dell’unità dello Yang e dello Yin ) arrotolati intorno ad una perla meravigliosa. Di essa si hanno echi in occidente nel “tesoro” guardato dal Drago che il Sauroctono – Sigurd o Sigfried – conquista con la spada, mentre la Cina di Confucio, di Lao-zi e degli Imperatori benefici ottiene per mezzo della Saggezza e della Giustizia. Perla del drago vicina alla parola del Cielo e del Figlio del Cielo! «Non si discute della perla del Drago» diceva Mao Tsé Toung.

Questo troppo rapido sguardo in Occidente e in Oriente – soprattutto cinese, ma se avessimo più spazio potremmo interrogarci sul ruolo benefico del serpente nga (a sette teste) nel buddhismo khmer12– ci mostra il rovesciamento totale del simbolismo del Drago nella civiltà occidentale e nella civiltà cinese.

In Occidente, il Drago, la cui immagine sommaria è quella di un grande rettile (sauroide) con artigli e con tratti del viso più o meno umani, è nella maggior parte dei casi un simbolo negativo, legato al male, al peccato, alla “mala morte”, alla femminilità nefasta di Eva e l’eroe deve combatterlo. In Cina l’immagine imperialista del drago, confusa con il Cielo e il Figlio del Cielo, è carica di tutte le possibili influenze benefiche per la condizione umana (saggezza, equilibrio, giustizia, pace, prosperità ), come di tutte le creature dello Yang e dello Yin .

Ad una tale contraddizione bisogna ora tentare di dare una spiegazione o almeno una interpretazione.

II Parte: Interpretazione dell’inversione simbolica

Rifiuto della spiegazione storica di J. Baltrusaitis 

Bisogna immediatamente rifiutare la spiegazione storica tentata da Jurgis Baltrusaitis13 allineando in un processo lineare, unidimensionale, la “diffusione” dell’immagine del Drago dalla sua positività mongola alla sua negatività cristiana, attraverso il termine di mezzo delle invasioni mongole del XIII sec.

Certamente non bisogna negare gli scambi pacifici assai intensi tra Oriente cinese e Europa, specialmente nel XII sec. Ma, come lo stesso Baltrusaitis14 riconosce, è soprattutto nel Medio-Oriente che questi scambi sono sensibili: per l’Europa i Tatari sono molto lontani! E «lo stesso fattore mongolo trasmette in primo luogo le ali del pipistrello e una famiglia di diavoli».

Malgrado il gioco di parole (attribuito a San Luigi) tra Tataro e Tartaro, l’Occidente cristiano prende in prestito da questi ultimi soltanto i diavoli per raffigurare il proprio diavolo e non il sacro-santo Drago. Abbiamo notato di passaggio che le “ali del pipistrello” non sono repertoriate nel bilancio descrittivo del Classico delle Montagne e dei Fiumi15. D’altra parte nella maggior parte delle immagini che ci fornisce l’iconografia cinese, il Drago, per essenza volatile come le nuvole, non ha affatto le ali16. Al contrario al demone-fulmine, specialmente Lei-Kong (di cui si trova l’immagine nella famosa scimmia ribelle «dagli occhi di fuoco e dalle pupille d’oro, dalla testa a punta, dalla faccia villosa» del celebre romanzo fantastico Xi You ji che spiegherà la sua conversione ad opera di Tripitaka17), “Duca del tuono”, sono spesso attribuite ali membranose di chiroptero.

Inoltre c’è una contraddizione radicale che ritroviamo a poche pagine di distanza, nel saggio dello studioso lituano, tra il sedicente “terrore” che ispira alla cristianità l’avanzata mongola in Europa Orientale (non raggiunge né la Francia, né l’Italia, né la Germania, ecc.), il “flagello giallo” (p. 179) che avrebbe demonizzato ogni immagine venuta dall’estremo oriente, e lo sfavillio, la seduzione (p. 166-168) che produce nel secolo francescano, il XIV secolo, la scoperta dell’Asia orientale. Dalla Cina giungono spezie, stoffe, sete, ceramiche e perfino la moda della pettinatura femminile18. Inoltre Baltrusaitis, proprio come Ch. Sterling19, ritrova la concordanza tra l’arte tradizionale del paesaggio in Cina e il paesaggio che improvvisamente trova il suo posto a partire dal XIV sec. in Europa. Ma da storico troppo puntiglioso, lo studioso medioevalista si lascia affascinare dalla convergenza tra il vitalismo dei pittori cinesi e quello di Brunetto Latini o di Leonardo. Tuttavia la cosa più importante non è l’evidente zoomorfismo che appare in questi paesaggi, ma l’improvvisa complicità filosofica tra il pancosmismo cinese e l ‘esthetica moderna dei Francescani 20. Il naturalismo e l’etica di fraternità francescana smentiscono per alcuni decenni “l’umanesimo” eroico e guerriero del Medio-Evo. In ogni caso, questa vera “moda” per ciò che viene dalla Cina durante i secoli XIII e XIV esclude – e esclude doppiamente, come abbiamo visto – la spiegazione della demonizzazione dell’immagine del Drago e dell’etica sauroctona, suo corollario, come causata dal terrore tataro/tartaro. La dinastia mongola (i Yuan ) con l’avvento di Qubilai nel 1260, intrattiene durante un secolo i più cordiali rapporti con l’Occidente cristiano. È l’epoca in cui i francescani, come Oderico di Poderina e i mercanti veneziani Niccolò, Matteo, Marco Polo esplorano la Cina. D’altra parte, sono soprattutto i cristiani a non vedere nei Mongoli una “minaccia”, quanto piuttosto un serio contrappeso all’influenza e alla dominazione del nemico “infedele”: i Tatari cinesizzati occupano Bagdad, Kaboul, Samarcanda, l’Iran, Bassora, la Georgia. I Khans diventano i temibili vicini dei temuti Selgiucidi e Mammelucchi usurpatori dei Luoghi Santi.

Infine, argomento decisivo, il paradigma dell’eroe vincitore del Drago è molto anteriore in Occidente ai lontani rumori delle conquiste mongole alla fine del XIII secolo. Le illustrazioni del tema famoso del libro dell’ Apocalisse non hanno atteso la fine di questo secolo: abbiamo già segnalato questo tema negli affreschi del VII sec. del monte Gargano, ai quali si possono aggiungere i rilievi del XII sec. a San Gilles in Languedoc (Francia) e soprattutto il drago nel Codex di Bamberg (XI sec.), in cui abbiamo esplicitamente un sauroide dalla coda di serpente, con le ali e che sputa acqua mortale, e nell’androne di San Savino in Poitou (XII sec.) nonché nel famoso manoscritto il Beatus di Liebana (VIII sec.)21. Ancor meglio, c’è tutta una tradizione precristiana del drago vinto dall’eroe alla quale l’iconografia cristiana è debitrice, molto più di quanto non lo sia all’iconografia orientale: perché qui sono presenti sia il mostro drago o idra, sia l’eroe sauroctono. Tutte le simboliche di cui l’Occidente si nutre (ellenica, germanica, celtica) convergono per installare nell’immaginario l’etica sauroctona.

La mitologia greca trabocca di imprese eroiche22 che impregnano tutte le fabulazioni, i sogni, i progetti europei: Perseo attraverso il riflesso del suo scudo acceca e poi uccide Medusa – mostro alato, con denti e con una capigliatura di serpenti – il cui sguardo era pietrificante; acceca ugualmente le tre sorelle maggiori della Gorgone che non avevano che un occhio in tre, quindi libera la bella Andromeda e, ancora una volta, uccide il mostro marino che la custodisce. Giasone vestito con una pelle di pantera (nella tradizione cristiana del Physiologus , assimilata alla purezza contrapposta al drago impuro) al termine della sua navigazione, addormenta un drago per impadronirsi del tesoro della Colchide: il Vello d’Oro. Bellerofonte salito sul cavallo di Pegaso, nato dalla folgore e dall’acqua, uccide la Chimera, mostro composito di parti di leone, di capra e di serpente che sputa fuoco. E che dire delle imprese eroiche di Eracle/Ercole? Sin dall’infanzia soffoca i serpenti inviati da Era, la gelosa sposa di Zeus; in una delle sue dodici fatiche uccide Gerione il mostro a tre teste; cattura il mostro Cerbero e soprattutto infine il mostruoso serpente a sette teste, l’Idra di Lerna.

L’apporto germanico è egualmente molto importante.

La Canzone dei Nibelunghi non ha cessato di alimentare l’immaginario europeo dall’ Edda scandinava fino al Ring di Richard Wagner. L’eroe è Sigurd (Scandinavia), Sivard (Danimarca), o il famoso Siegfried germanico che uccide il drago Fafner, beve il sangue e diventa “chiaroveggente”: comprende il canto degli uccelli23.

Nella tradizione celtica, fortemente rivivificata nella cristianità del XIII sec., abbiamo la pleiade degli eroi/cavalieri della “materia di Bretagna”: Peredur/Parsifal, Ivano, Lancellotto, Galvano, Arturo e il suo antenato dal nome significativo Uther Pendragon. In particolare nella leggenda di Tristano lo scontro sia con il gigante Morholt venuto dall’Irlanda, sia con il drago, si carica di tutti i connotati positivi o negativi della femminilità 24.

Dietro tutte queste fonti greche, celtiche o germaniche che riportano il combattimento sauroctono traspaiono quasi sempre qua e là le relazioni del drago con la visione, con l’elemento marino o acquatico, con la moltiplicazione delle teste. Il corpo sauroctono che precede l’ondata mongola degli anni 1240-1250 mostra ampiamente come l’immaginario occidentale non abbia alcun bisogno per rappresentare il male, delle raffigurazioni – sia pure quelle dei demoni – importate dall’Asia Centrale.

Ma allora resta interamente il problema: che cosa provoca e giustifica questo trattamento contraddittorio della figura del Drago in Oriente, specialmente in Cina, e in Occidente?

Bisogna qui riprendere il vecchio metodo di André Leroi Gourhan che Gilbert Durand ha preconizzato quarant’anni fa: «Se il documento sfugge troppo spesso alla storia, non può sfuggire alla classificazione».

Si deve allora passare da una spiegazione diacronica e lineare a una “forma causativa” (R. Sheldrake), sincronica (Cl. Lévi-Strauss) e topologica, “constellante”25 e alla nozione di “campo” semantico.

Interpretazioni mitologiche 

Bisogna innanzitutto riaffermare con forza – come faceva Durand quasi quaranta anni fa (1961) in una discussione con Etienne Souriau a Knokke-le-Zoute – che ogni simbolo, ogni archetipo è assiologicamente neutro. Non ci sono buoni o cattivi miti, tutto dipende dall’uso che se ne fa.

Nelle Strutture Antropologiche dell’Immaginario della fine degli anni cinquanta G. Durand costatava che il “regime notturno” delle immagini non è il solo che possa essere negativizzato; a contrario esiste un “inferno agorafobico” già descritto da Dante e conosciuto da molti psicologi26. Indifferenza nella responsabilità etica, per così dire, che riflette il fenomeno molto curioso – assai frequente nel mito e anche nel racconto letterario – dell’inversione delle voci passive-attive del verbo: il giustiziere abusa della sua giustizia, il fasto diventa nefasto, il truffatore truffato27. Un rovesciamento delle valorizzazioni simboliche è dunque possibile, come mostrano gli psicologi e gli epistemologi, sia quando si considerano due caratteri, due personalità che funzionano a regimi differenti28, sia quando si passa da un’epoca di lunga durata (bacino semantico) all’altra, sia soprattutto quando si salta da una regione culturale a un’altra molto più lontana.

Ora è precisamente ciò che accade quando si salta da una cultura come quella dell’Occidente cristiano ad una cultura come la cinese, che sono separate da tutto: distanza geografica, gruppo linguistico, ceppi etnici, preistorici ed etnologici, orizzonti filosofici e religiosi.

Gilbert Durand ha insistito in molti dei suoi lavori sull’appartenenza della cultura occidentale al regime diurno dell’Immaginario e più precisamente ai suoi caratteri “schizomorfi” (o diairetici)29. Possiamo riassumere dicendo che il triplice radicamento dell’Occidente si fa sulla filosofia socratica, il monoteismo giudeo-cristiano e le lingue del gruppo detto indo-europeo. Filosofia dualista, socratica e platonica rinforzata dalla logica aristotelica del “terzo escluso”, monoteismo dell’essere che respinge il non-essere come il male, il molteplice, falsa dialettica di tipo hegeliano, prigioniera di una tesi e di un’unica antitesi: tutti questi quadri culturali favorivano in Occidente il mito e anche la cultura dell’Eroe combattente e vincitore del mostro delle Tenebre30.

Per semplificare – se pure una tale semplificazione è permessa da una cultura di più di 5.000 anni e con una popolazione di più di un miliardo di individui! – e riassumendo lo studio che Chaoying Sun ha consacrato all’immaginario cinese31, diciamo che la maggior parte dei grandi emblemi della civiltà cinese32 indicano un orientamento “notturno”, – mistico o sintetico secondo la terminologia di G. Durand – dell’immaginario cinese: il famoso ding (tripode) al quale è assimilato lo stesso Tao (Laozi)33, il Ming Tang nella sala centrale in cui risiede il “Figlio del Cielo” dell’Impero di mezzo ( Zhong-guo ), la grande Muraglia ( Wan-li-Chang-Cheng ) che chiude e difende l’Impero su cinquemila chilometri, sono simboli mistici – cioè suggeriscono la logica dualistica in cui il contenuto suggerisce il contenente e viceversa – al più alto grado e della più vasta estensione. Logica e simbolica supportate da una lingua ideogrammatica, cioè in cui un segno, esso stesso composto generalmente da sotto-segni, dice direttamente la notizia che mostra (immagine o concetto) senza soccombere alle trappole delle analisi grammaticali (genere, numero) o alfabetiche.

Ma ancora più interessanti, per quel che riguarda il nostro argomento, sono gli aspetti “sintetici” di questo notturno culturale. Il drago ( long ) cioè l’Imperatore come “mandato del Cielo”, centro del mondo, è il modello della riconduzione all’ordine sia dei contrari che costituiscono la natura o la società ( coincidentia oppositorum ) sia ad un tempo dello svolgimento (nel senso forte del termine) temporale delle cose. L’Imperatore al “centro” del Ming Tang ordina sia gli orientamenti dello spazio che il calendario. La filosofia dell’essere, cara all’Occidente è sostituita da una filosofia dell’incessante e costitutiva trasformazione contenuta in un libro senza tempo – o per lo meno di cui si attribuisce la creazione leggendaria allo stesso Drago che l’avrebbe portata al demiurgo Fu-Xi (egli stesso raffigurato mentre portava una coda di serpente) –  Il libro dei cambiamenti (o delle trasformazioni Yi jing)34 che ha ispirato, per lo meno, tutti i fondatori della filosofia cinese: Confucio, Laozi, Zhuangzi, ecc. Questo sistema di “trasformazioni”, a partire dai due soli elementi di Yang (figurato da una linea continua) e di Yin (figurato da una linea rotta al centro) poggia sulle sessantaquattro combinazioni possibili di queste due figure lineari raggruppate in esagrammi.

Ci sono dunque in ogni circostanza (naturale, politica, sociale, psicologica) sessantaquattro possibilità di situazioni instabili e sempre mutevoli. Osservazione importante: il dualismo primitivo e apparente dello Yin e dello Yang “assoluti” – cioè che occupano l’uno o l’altro i sei tratti dell’esagramma – è radicalmente minoritario poiché non figura che due (1+1) possibilità sulle sessantaquattro! Il dualismo si dissolve in dualitudini nello stesso tempo che l’essere si converte nelle molteplicità del suo divenire. Nella collezione degli otto trigrammi matriciali35, il Drago è l’emblema del trigramma Zhen che si situa come terzo termine: dopo il Padre, cioè il Cielo e la Madre, cioè la Terra, il figlio primo-nato ha per immagine il tuono; nel quadrante delle Stagioni, è il segno del Nord-Est36, inizio della primavera «quando lo Yang manifesta più attivamente il suo potere di mutazione» e il suo attributo essenziale è il movimento. Se si passa dal calendario all’orologio, vediamo ancora il Drago situato in un posto strategico «l’ora in cui lo Yang cresce e provoca mutazioni» (quinta ora doppia dell’orologio cinese = tra le sette e le nove).

Questi esempi illustrano abbastanza bene la positività dell’emblema del Drago, modello del “Figlio del Cielo” e di cui le sessantaquattro stasi dello Yi Jing sono una sorta di catalogo delle possibilità.

Conclusioni

In tal modo l’immagine del drago, così carica di malignità in Occidente da aver bisogno di un eroe che la combatta e ristabilisca la solidità dell’essere contro la molteplice perversità, è nell’Oriente cinese un’immagine benefica che si arricchisce di tutte le ricchezze della molteplicità : assimilato al “Figlio del Cielo”, imperatore del quaggiù terrestre, al centro del mondo dei cambiamenti, assicura il buon andamento delle pluralità politiche, geografiche, antropologiche e del calendario. L’una di fronte all’altra si trovano innalzate due visioni del mondo: una che salva l’essere-uno facendo a pezzi il drago, l’altra che si contenta di mettere in ordine cambiamenti e trasformazioni.

Si potrebbe sottolineare l’importanza di un approccio scientifico sincronico per illuminare i vasti orizzonti di così lunghi periodi culturali. Ci resta da domandarci se culture fondate su valori antagonisti attribuiti all’archetipo comune dell’animale fantastico dalla testa umana, dal corpo di serpente, dalle unghie di tigre, possano accordarsi per una fruttuosa gestione del mondo che è il bene che la nostra comune condizione umana deve condividere.

G. Durand - C. Sun – Chaoying Sun

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NOTE:

1) M. de Fraipont, Les origines occidentales du type de saint Michel debout sur le dragon, in «Rev. belge d’Archéologie», 1937; M. G asnier, Saint Michel Archange, Paris 1934.

2) G. Antonucci, La leggenda di S. Giorgio e del dragone, in Emporium, 1932; H. D elehaye, Les légendes grecques des saints militaires, Paris 1904

3) Cf. G. Durand, Les Structures anthropologiques de l’imaginaire, 2ª ed., Dunod, Paris 1992, pp. 182, 184 (1 a ed. 1960); H. D ontenville, La mythologie française, Payot, Paris 1948, pp. 138-140 e ss.

4) P. Sebillot, Folklore de France. Les eaux douces, Paris 1983; cf. J. F. B lade, Contes de Gascogne, t. II, Paris 1986.

5) A Taïwan e nel Sud della Cina si mangiano molti serpenti perché secondo la medicina cinese la carne di serpente rende gli occhi chiari.

6). «Retz -in ing – ri-bao» (Il quotidiano del popolo), ottobre 1995.

7) Cf. G D urand e Chaoying S un, Le Graal dans touts ses états, in Mythe, Thèmes et Variations ; cf. J. P impanneau, Chine, culture et tradition, Ed. Ph. Picquier, Arles 1988.

8) M. L. Tournier, L’imaginaire et la symbolique dans la Chine Ancienne, L’Harmattan, Paris 1991, p. 118.

9) J. Botero, La religion babylonienne, PUF, Paris 1962; J. B otero e N. S. K ramer, Lorsque les dieux faisaient l’homme. Mythologie mésopotamienne, Gallimard, Paris 1989.

10) G. Posener e J. Y oyotte, Dictionnaire de la civilisation égyptienne, Paris 1959; E. H ornung, Les dieux de l’égypte, l’un et le multiple, tr. fr., Le Rocher, 1995.

11) G. Dumézil, La religion archaïque des Roimains, Payot, Paris 1966.

12) B. Ph. Groslier, Angkor, Paris 1956.

13) J. Baltrusaitis, Le Moyen-Age fantastique, antiquités et exotismes dans l’art gothique, Flammarion, Paris 1981.

14) Ibid., p. 174 e E tiemble, L’Europe chinoise, t. I, cap. X, nota 18, Gallimard, Paris 1988.

15) R. Mathieu, Études sur la mythologie et l’ethnologie de la Chine ancienne, t. I (tr. del Shangaï jing), Collège de France, Inst. des Hautes Études chinoises, 1983.

16) G. Combuz, Masques et Dragons en Asie, Bruxelles 1945; D. Bresniak e M. Random, Le Dragon, Éd. Du Félin, Paris.

17) Chaoying Sun, Un Saint Antoine chinois au Gobi, in Actes du Colloque Saint Antoine entre mythe et légende, aprile 1994, Ellug,Grenoble 1996.

18) Cf. F. de Mely, De Périgueux au Fleuve Jaune, Paris, 1927; E tiemble, L’Europe chinoise, t. I, De l’Empire Romain à Leibniz, Gallimard, Paris 1988.

19) Ch. Sterling, Le Paysage dans l’art européen de la Renaissance et dans l’art chinois, L’Amour de l’Art, 1931; cf. J. Gernet, Le monde chinois, A. Colin, Paris 1972-1990.

20) Cf. G. Durand, Beaux arts et archetypes, PUF, Paris 1989.

21) Per le illustrazioni del Codex de Bamberg e del Beatus, cf. D. Bresniak e M. Random, op. cit.

22) Consultare P. Grimal, Dictionnaire de la mythologie grecque et romain, PUF, Paris1951 e sul simbolismo M. Cazenave, Encyclopédie des symboles, Livre de Poche, Paris 1996; cf. anche R. Graves, Les mythes grecs, Fayard, Paris 1967.

23) R. Boyer, Yggdrasil, la religion des anciens scandinaves, Payot, Paris, 1991; G. Dumézil, Mythes et dieux des Germains, PUF, Paris 1953.

24) R. Graves, Les mythes celtes, Le Rocher, 1995; J. Markale, L’épopée celtique d’Irlande, Payot, Paris 1971; Ph. Walter, Le gant de verre. Le mythe de Tristan et Yseut, Ed. Artus, La Gacilly 1990.

25) Cf. A. Leroi -Gourhan, Évolution et technique. L’homme et la matière, Albin Michel, Paris 1943; Cl. evi -Strauss, Anthropologie structurale, Plon, Paris 1958; R. S heldrake, Une nouvelle science de la vie, tr. fr., Le Rocher, 1985.

26) G. Durand, Les structures anthropologiques…, pp. 306, 307; cf. Ch. B audouin, Le triomphe du héros, Plon, Paris 1952; M. A. Sechehaye, Journal d’une schizophrène, PUF, Paris 1950; Y. Durand, L’exploration de l’Imaginaire. Introduction à la modélisation des univers mythiques, Espace bleu, Paris 1988.

27) Cf. G. Durand, Introduction à la mythologie, mythes et sociétés, in particolare cp. VI, Albin Michel, Paris 1996.

28) Cfr. Y. Durand, op. cit.; G. Durand, op. cit., in particolare cp. III e IV; G. Holton, L’imaginaire scientifique, tr. fr., Gallimard, Paris 1981.

29) G. Durand, Les structures anthropologiques, in particolare pp. 202-215; cf. anche L’imaginaire symbolique, PUF, (1964) 1984 e L’imaginaire, essai sur les sciences et la philosophie de l’image, in particolare cp. 1: “Paradoxe de l’imaginaire en Occident”, Éd. Hatier, Paris 1994.

30) G. Durand, Les structures anthropologiques, pp. 202-207; Ch. Baudouin, Le triomphe du héros, Plon, Paris 1952; J. Campbell, The hero with a thousand faces, New York 1956; J. de Vries, Heroic Song and Heroic Legend, London 1963; Ph. Sellier, Le Mythe du héros, Bordas, Paris 1970.

31) Chaoying Sun, Les structures de l’imaginaire chinois, Seminario, Università di Sophia Antipolis (Nice), 1995.

32) R. Mathieu, Anthologie des Mythes et légendes de la Chine Ancienne, Gallimard, Paris 1989; M. Granet, La civilisation chinoise, A. Michel, Paris 1988; M. Granet, La pensée chinoise, A. Michel, Paris 1994; Cf. W. Eberhard, Traduction chinoise de Chen Jian Xian Zhongguo wenhua xiangsheng cidian, Hunan Wenyi, Chubanshe 1991; K. Y uan, Zhongguo shenhua chunanshuo cidian, Shangai 1985.

33) Laozi, Dao dejing (Libro della via della Virtù).

34) Cf.Chaoying Sun, Les structures de l’imaginaire chinois, e Yi king. Le livre des transformations, tr. fr. di E. Perrot, Librairie de Médicis, Paris 1973.

35) Cf. M. L. Tournier, L’imaginaire, p. 110.

36) Secondo una versione manciù il dragone sarebbe rappresentato dal massimo Yang, il primo trigramma, e riapparirebbe nelle trasformazioni dell’esagramma Kien, il creatore, il cielo: Kou (44ª figura), Tun Jen (13ª), Ta Yéou (14ª), Kouei (43ª), Po (23ª). Cf. M. L. Tournier, L’ imaginaire, p. 111.


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