Nell’azione tecnico-pratica si affrontano problemi di altissima valenza filosofica. Le soluzioni semplici e economiche che vengono trovate nelle procedure tecnico-operative comportano studio, conoscenza, intelligenza.
La precisione e la elasticità dell’incastro delle travi di un tetto, la composizione di due leve in una tenaglia, la lama affilata che rientra in un manico di osso, il profilo della chiglia di una barca, la forza leggera di una ruota, non si tratta mai di problemi infantili per uomini inadatti allo studio e da respingere nei gradi marginali dell’istruzione.
L‘azione tecnica che interviene sulla materia non è solo, peraltro, quella del lavoro manuale. Il governo di una città e la organizzazione di una economia complessa sono solo apparentemente attività rarefatte e astrusamente intellettuali. In esse, invece, viene sempre messa in gioco la stessa intelligenza e la stessa facoltà di colui che si misura con la materia empirica.
Se spesso si spingono a fare il mestiere degli idraulici quelli che appaiono meno dotati per le lettere o quelli che sono svogliati a scuola ciò non vuole dire che nell’idraulica non si presentino gli stessi profondi problemi della metafisica di Aristotele.
Non si deve cadere nell’equivoco, l’homo faber non è il consumatore passivo che acquista al supermercato una macchina sofisticata (che è stata genialmente predisposta per essere usata dalle masse ignoranti e impacciate) e riesce a usarla con la pressione di pochi elementari pulsanti. L’homo faber non deve essere confuso con il fruitore finale dei suoi congegni.
Del resto, oramai è assai difficile e lungo risalire all’autentico artefice, perché nel nostro sistema tecnico-scientifico-industriale interdipendente su scala planetaria gli artefici riutilizzano e assemblano meccanismi più complessi predisposti da altri. Naturalmente, si potrebbe ben scomporre l’universo tecnologico in un numero limitato di gangli elementari sui quali poggia l’intero edificio e risalire ai loro artefici.
Troveremmo sempre un’arte eccezionale; l’arte che stringe in sé sapere e fare esige infatti un artefice che, collocandosi al centro delle grandi forze della natura, sia capace di costringerle alla produzione di un effetto voluto.
Chi è l’artefice? L’artefice è l’uomo completo di tutte le sue potenze inscritto nel pentagono, da ultimo da Leonardo all’alba della modernità e prima di lui da Vitruvio e prima ancora da antiche tradizioni sapienziali.
Alla sua azione non sfuggono affatto i drammatici problemi dell’essere e del non essere, dell’uno e dei molti, della potenza e dell’atto, i quali – anzi – trovano in essa una soluzione netta nella concretezza della situazione.
Tutti i problemi, che si rivelano insolubili sul piano logico e filosofico, si rivelano tali perché non è quello il piano si cui debbono essere affrontati. Anche i problemi spirituali non appartengono a un rarefatto iperuranio, ma ci vengono incontro come demoni potenti armati di dolore e materia che soltanto il grande combattente sa addomesticare e accogliere al suo servizio.