Indichiamo alcuni tra i più rilevanti temi della spiritualità
della Sardegna antica trattati dal saggio
di Giuseppe Lampis, ‘ Sa bia de sa palla’. La Via Lattea in Sardegna, Roma, Mythos 2003
La Sardegna è l’unica grande regione del Mediterraneo della quale non si hanno interpretazioni stabilizzate e univoche. Nel suo caso la cultura europea, che per interpretare ha bisogno di dominare il corso del tempo, oscilla sul punto critico oltre il quale se non c’è storia non c’è niente.
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Le oscillazioni nelle ipotesi interpretative – Africani o Egei? Semiti o Indoarii? Oriente o Occidente? – con tutta la gamma intermedia e le miscele ragionevoli e meno, determinano l’immagine della terra che incontriamo.
Se riusciamo a orientarci, lo spazio altrimenti neutro diventa un paesaggio; appena ci si trova davanti a un paesaggio ci si sente a casa; il paesaggio è uno spazio abitato, o che è stato abitato, è umano, è segnato dall’uomo.
Prima che la natura o lo spazio diventino paesaggio, quando si è immersi nel non-paesaggio, non c’è nemmeno l’uomo.
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A lungo la Sardegna si è sottratta, sfuggendo alla presa. Ci deve essere una relazione tra la difficoltà di pensarla e l’ethos dell’epoca. Del resto, aveva ragione uno dei nostri ultimi grandi filosofi a affermare che ogni problema storico è sempre un problema di storia contemporanea.
Non sorprende che la forma Sardegna non compaia né nella famiglia delle otto Kulturen di Oswald Spengler né in quella delle ventuno Civilizations di Arnold Joseph Toynbee.
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Come per le esplorazioni extraeuropee, anche per la Sardegna abbiamo dei rapporti, i principali sono opera del generale torinese Alberto Della Marmora (1826, 1860), autore peraltro della prima carta composta scientificamente (1845), in scala 1:250000.
Inoltre, ci sono i diari dei voyageurs: Valéry (pseudonimo di Antoine-Claude Pasquin, 1837), David Herbert Lawrence (1921), Elio Vittorini (1932), Ernst Jünger (1954).
Le incisioni e i disegni ottocenteschi specie di francesi, inglesi e persino svedesi, uniche raffigurazioni di paesaggi e personaggi prima dell’avvento della fotografia, appartengono allo stesso genere.
La letteratura autoctona non ha mai raggiunto quel livello che mette in moto, o segna, un salto di qualità della coscienza storica di un popolo; nondimeno vi si trovano molte notizie di interesse etnologico e storico-religioso che meriterebbero una indagine critica.
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La Sardegna, secondo una delle prime rappresentazioni conosciute, era la terra del sonno atemporale.
Per un mito greco, alcuni figli di Eracle (nove) giungono in Sardegna e vi si addormentano, sospendendo lo scorrimento del tempo verso la morte.
Sono assolutamente convinto che una fonte creativa e geniale, la quale trasforma programmaticamente i documenti di cui è portatrice – e la cultura greca è una di queste -, consegna con sé molte più cose del passato di una fonte ottusa e mediocre che pretende di essere neutra e scientificamente imparziale.
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Il mito dei dormienti fuori del tempo è riferito da Aristotele, in un libro in cui discute dell’eterno e dell’infinito.
I Greci immaginano che i progenitori dei Sardi conoscano un rito o un’arte per vincere la morte dormendo.
In effetti, l’arte è tipica degli sciamani cretesi, per esempio di Epimenide; ma soprattutto del greco d’Italia Pitagora. Non abbiamo elementi per decidere in quale quadro filosofico-religioso questa metafisica del sonno, probabilmente di origine orientale, fosse inserita.
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Kàroly Kerényi dà una spiegazione astrologica. La tradizione di una affinità tra uomini e stelle è certamente fra le più fondamentali della storia del pensiero religioso.
Egli ritiene che il mito greco dei dormienti sia la rielaborazione di un tema autoctono più antico dei Greci che rimbalza nella Megale Hellas (Cuma) proveniendo dall’Isola al centro del mare.
Nel fondo protomediterraneo e presso i Semiti si sente l’esigenza di «unire senza residuo i periodi e solari e lunari in un periodo più grande, il cosiddetto grande anno ». Ora, in Beozia, patria di origine del mito, nel grande anno di 60 anni solari sono contenuti 63 anni lunari, ma restano fuori 9 giorni lunari.
9 figli della luna cadono fuori del grande anno e cioè del tempo. Essi vengono catturati nella esperienza della sospensione del solstizio, del mezzogiorno, del sonno senza sogni.
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Qualunque ne sia l’origine, Aristotele è a conoscenza di una tradizione che considera la Sardegna una porta di fuga dal tempo e dal mondo della necessità. Se i giorni che non rientrano nel grande riallineamento periodico della volta stellata si perdono in Sardegna, essa deve avere il carattere speciale di un confine estremo. Se, nell’eterno ritorno, ciò che sfugge alla ripetizione soggiorna in Sardegna, essa di conseguenza deve avere il valore di una porta in cui il ciclo si interrompe e da cui si può passare a un livello metafisico.
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Il grande anno dura egualmente 60 anni solari presso i Babilonesi.
Aggiungo che è lo stesso anche presso i Dogon, i quali rifanno il mondo esaurito con una grandiosa circumambulazione, la cerimonia del Sighi, giusto ogni 60 anni. In questa occasione periodica, essi scolpiscono anche una nuova maschera dell’antenato mitico, in cui il suo dèmone potrà ancora insediarsi. L’uomo delle origini ha bisogno di un mondo rinato per non disperdersi.
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La terra del sonno è l’isola di Crono.
Laggiù si addormentano gli olbioi, i beati, gli immortali. Essi per Esiodo sono i «veglianti», i dèmoni, gli eroi.
Non deve essere soltanto una curiosa coincidenza che il figlio di Eracle, Iolao, secondo i miti greci che riguardano la Sardegna abbia fondato la città felice, Olbia.
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Anche per Eraclito, il vegliante è colui che raggiunge una certa particolare esperienza di sonno.
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Il sonno visionario greco riporta a Apollo. Presso suo figlio Asclepio, il Serpente, l’eroe che sa resuscitare i morti, si pratica l’incubazione.
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Platone, nel Politico , narrando degli uomini dell’età dell’oro di Crono, dice che non muoiono ma che si addormentano rientrando nella terra da cui erano sbucati come piante, seguendo il percorso inverso dopo un millennio.
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Iolao, auriga e nipote di Eracle, condusse in Sardegna le figlie di Thespio e alcuni dei figli che erano nati dalla unione con l’eroe. F ondatore di città nell’Isola, avrebbe chiamato Dedalo per costruirvi grandi edifici – i nuraghi? -.
La tradizione oscilla attribuendo lo stesso atto a Aristeo.
Aristeo, come allievo di Chirone, è indovino e medico; inoltre è esperto nella caccia, comanda ai venti e agli uccelli selvatici: una tipica personalità sciamanica.
Sa stringere Proteo, nonostante le sue sfuggenti trasformazioni, e farsi rivelare la magia della nascita delle api da un bue morto (è la cosiddetta bugonia, di cui parla anche una esoterica Georgica di Virgilio). Pratica il rito delle api o del miele, conosce la trasformazione dell’ogliastro in olivo, inventa il formaggio, affascinato dalla bellezza selvaggia della Sardegna, la rese abitabile liberandola dagli uccelli che la infestavano.
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Per il mito greco il viaggio in Sardegna ha il senso di un salto iniziatico nell’aldilà; così, è coerente che la meta venga rappresentata come sede di labirinti.
Aristeo è attratto dal carattere selvatico dell’Isola come da una prova ammaliante, egualmente gli Eraclidi scendono laggiù spinti da un destino oltremondano.
Norax (la stessa radice di nuraghe), eroe eponimo dei Sardi, è figlio di Ermes, la guida delle anime oltre la morte.
Anche Odisseo deve essere approdato in Sardegna poiché conosce il ridere sardonico. L’ Odissea ha l’ambizione di contenere un panorama completo dei dèmoni mediterranei, in una sorta di Olimpo a rovescio: d’altronde deve contenerlo perché essa ricalca la procedura di un mandala labirintico.
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Odisseo, per affrontare vittoriosamente il Ciclope deve mascherarsi da Nessuno. Nella terra senza mangiatori di pane ci si deve adeguare, regredendo alla esistenza di un nessuno .