Riso Sardonico da: ‘ Sa bia de sa palla'. La Via Lattea in SardegnaRoma, Mythos 2003, pp 114-120

Indichiamo alcuni tra i più rilevanti temi della spiritualità
della Sardegna antica trattati dal saggio
di Giuseppe Lampis, ‘ Sa bia de sa palla’. La Via Lattea in Sardegna, Roma, Mythos 2003

Giuseppe Lampis

Il ghigno satanico di una maschera fittile trovata a San Sperate (venti chilometri da Cagliari e tre a valle di Monastir) ci mette davanti agli occhi quello che da tempi immemorabili era una espressione che tutti in Sardegna conoscevano. La figura ha la bocca semiaperta, con le labbra tirate e contratte agli angoli in una smorfia agghiacciante indefinibilmente di riso o di pianto; sotto i sopraccigli arcuati e la fronte corrugata gli occhi sono sbarrati a forma di luna o mandorla falcata in una perfida intenzione maligna.

sard1Maschere simili sono state trovate a Tharros e a Mozia.

Gli archeologi hanno spiegato la piccola scultura come una maschera apotropaica. Vi hanno visto giustamente una espressione di minaccia. Ma verso chi è diretta quella minaccia?

La faccia della Gorgone, il gorgoneion, esposta sull’acroterio dei templi greci arcaici ha una funzione apotropaica.

L’opera è di mano cartaginese ma l’artista si è ispirato a una tradizione più antica. Doveva essere più antica dello stesso Omero che la richiama nell’ Odissea (XX, 302) con una di quelle formule tanto nette e sintetiche da implicare che si trattava di un dato universalmente intelligibile senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Quando Odisseo di nascosto sbarca a Itaca dopo vent’anni, si traveste da povero per spiare senza destare sospetti la situazione che si è creata nella sua reggia e preparare il suo vero ritorno. Quando finalmente è arrivato il momento, nel XXII libro, si alza in tutto lo splendore della sua vigorosa ferocia davanti ai Pretendenti intrappolati nella sala del banchetto e inizia la mattanza urlando: «non credevate che tornassi, non avete avuto timore della nemesi!», e alla proposta di risarcimento avanzata da Eurìmaco «nemmeno se mi pagate tutti i beni paterni e altri … fermerò le mie mani dalla strage». Ciò che l’eroe deve compiere, sotto l’impulso di una possessione cogente, è una nemesi, una vendetta sacra, una pena che non può essere commutata e alla quale si è tenuti per mondarsi da certe gravi offese.

Ciò che il sardanio riso amaro di Odisseo prepara e pregusta contro i nemici che lo vogliono spogliare di tutto sé stesso è una nemesi.

*

Il riso-sorriso silenzioso sardanios nella Odissea è collegato in modo intimo e essenziale con il furore della morte imminente e la nemesi.

Durante il banchetto prima della strage, i Pretendenti poco dopo l’oltraggio contro il non riconosciuto re mendico sono presi, per opera di Atena, da un riso inconsulto che li acceca e riempie i loro occhi di lacrime: «l’animo voleva il pianto» (XX, 345).

Ci troviamo di fronte a una espressione elementare, primordiale, radicale, indotta da una possessione magica.

*

Il riso sardonico è una delle forme più elementari e arcaiche di riso. Per questo motivo il nome di sardonico, che comporta una ideologia retrostante, è una delle interpretazioni più radicali e penetranti della natura del fenomeno del riso. In fondo, è una interpretazione delle scaturigini e dell’impulso primario sul quale poggia e dal quale prende senso il comico teatrale.

Il riso sardonico è sempre collegato con la vendetta e la morte. Lo è sia per Odisseo sia per il leggendario Talo, «uomo di bronzo», che quando i Sardi tentarono di invadere l’isola di Creta li distrusse con il suo abbraccio infuocato ridendo malvagiamente, da cui «riso sardonico».

Riso dei Sardi o per i Sardi (lo stesso Talo viene a Creta dalla Sardegna), ma sempre riso di morte.

 *

La faccia del ridente è occupata involontariamente da un altro volto più primitivo che irrompe in lui e lo usa. Così egli diventa la maschera di una potenza che risale dalle profondità del petto e del diaframma e si fa avanti; il volto della vendetta che gusta la morte dell’avversario.

*

Quelle dei Luperci sono risate rituali.

Un sacerdote imbratta di sangue la fronte degli iniziandi con la lama usata per il sacrificio di una capra e, non appena un altro sacerdote la deterge con un fiocco di lana bagnato nel latte, i giovani ridono. Infine, così trasformati, si mettono a correre attorno al Palatino nudi con smorfie lascive percuotendo la folla con cinghie fatte con la pelle della vittima. Le donne in particolare cercano di farsi frustare convinte che così ne venga favorita la loro fecondità.

La festa dei Lupercalia si celebra nel mese di febbraio, consacrato ai morti.

*

La maschera di San Sperate è contratta in una risata sardonica. Perché ride? Rispondendo a questa domanda si risponde all’altra più fondamentale: perché si ride?

Abbiamo detto che con il nome di sardonico gli antichi hanno non solo citato una usanza sarda ma hanno voluto altresì affermare l’aspetto demonico del riso.

Un dèmone entra e si sostituisce in toto e subitaneamente. I muscoli facciali si contraggono, il respiro si affretta o sospende, il diaframma e l’addome vengono presi da spasmi, gli occhi lagrimano, erompono involontari scoppi elementari di voce, urli gutturali inarticolati, le vocali primordiali, non si riesce a proseguire nelle normali attività, si resta rigidi, si cade a terra piegati in due.

Come dalla rottura di un equilibrio, si insinua e emerge una presenza sottostante prima invisibile che si impadronisce della faccia e del corpo e ne trasforma la espressione retrocedendola a una facies animalesca prerazionale istintiva.

Michail Bachtin nel suo Rabelais (1965) ha sfiorato il punto nodale sostenendo che nelle feste di carnevale, fra gli abitanti delle campagne dove nel profondo ancora non è stata introdotta la frattura tra morte e vita, riemerge un moto che nel tempo normale è represso.

Infatti nel carnevale i morti tornano tra i vivi. Però non si ride, o piange, solo a tempo debito, anzi; il carnevale può essere la cifra di quella sospensione del tempo normale che interviene con il riso e Bachtin ha colto bene il nesso tra riso e morte.

In effetti, per interpretare la profonda e automatica trasformazione del viso, di ogni viso, dovremmo sempre richiamare la metafisica della maschera, con il suo carattere di porta dell’invisibile che si affaccia e invade attraverso di essa.

 *

Nel riso assistiamo a una irruzione demonica, a un ritorno non regolato di un altro mondo.

A mio avviso, si deve sottolineare il fatto che, a livello fisiologico di base, riso e pianto non si distinguono. Riso e pianto consistono ambedue in una involontaria modificazione del viso che viene catturato da una maschera primordiale e irresistibile.

L’arcaicità del riso-pianto sta nella sua assoluta irresistibilità e irrefrenabilità.

Questa irresistibilità richiama l’esperienza dei poteri insuperabili e ineluttabili ai quali gli uomini sono soggetti e inserisce il riso nel loro esclusivo e temibile ambito.

Inoltre c’è una più sostanziale notazione che si deve aggiungere: la espressione del riso che provoca pianto è la stessa del morto di morte violenta. Al tempo d’oggi il medico legale riconosce determinati avvelenamenti dalle contrazioni della faccia. Il riso sardonico è confinato nei trattati di patologia. In essi compare come definizione del trisma, una caratteristica estrema contrazione dei muscoli delle mandibole a causa del fatale tetano.

Gli spasmi del tetano sono simili a quelli dovuti a un freddo invincibile, di modo che dietro la distaccata classificazione scientifica si ripresenta la grande malvagia sarda, la infezione della malaria con i suoi freddi mortali. Con essa la morte non è più un concetto generale astratto, retrocede a freddo concreto che uccide, a maligna e palpabile ferita, disegnata sulla carne viva del volto, recata da immondi insetti – o mosche da macello o zanzare o cavallette o venti disumani -.

 *

Riso e pianto nelle società tradizionali sono sempre associati, le feste del riso coincidono o si connettono strettissimamente con quelle del pianto (lutto e gioia).

Sappiamo che la struttura della festa antica comprende una sequenza coordinata di fasi indisgiungibili, mortificazione, purificazione, rinascita, giubilo. Le feste dedicate a Dioniso sono articolate sulla rappresentazione di tragedie seguite da drammi satireschi; i funerali giapponesi e filippini si celebrano con suoni e danze; la sfilata del carnevale brasiliano evoca la corsa danzante dei morti. In quest’ultimo caso, che ha rapporti con la cultura africana arcaica, si constata una ulteriore caratteristica speciale che sostanzialmente è la stessa che si trova alla base del dramma satiresco greco, e vale a dire la associazione di nudo, morte, sessualità, osceno.

 *

Tuttavia, come c’è una scala di dèmoni, c’è una scala di differenti specie di riso-pianto. Dato che si tratta di irruzioni e possessioni, evidentemente tutto dipende dal tipo di uomo con cui esse hanno a che fare. Un uomo aperto a tutte le influenze dal basso sarà di preferenza preso da un riso-pianto basso, diabolico, ghignante, satiriaco, nero; un altro, formato e integrato in sé, si esprimerà in un riso-pianto alto, di cui sono esempi la risata olimpica e la risata dell’eroe Eracle melampygos, l’eros esplosivo, la gioia, il rosso.

Si narra che Licurgo, il severo legislatore di Sparta, avesse celebrato il dio del ridere con una statua in cima a una colonna.

L’eroe che evoca la vendetta e la morte deve essere garantito e protetto da un dio amico per non restare travolto dalla forza distruttiva che si impadronisce di lui; egli deve chiamare il dèmone della morte nel quadro di un superiore orientamento etico; Odisseo può spargere il sangue avendo al suo fianco Atena armata, la morte deve essere sua amica e alleata, quando compie la strage la potente dea-nòttola assiste e aiuta in forma di rondine da un trave del soffitto della sala dei banchetti. Invece i suoi avversari sono travolti dal riso con il quale egli li avvolge come in una rete, precipitandoli nel loro destino.

Presso gli Etruschi, per celebrare i morti si svolgono combattimenti di gladiatori, ai quali assiste una comunità esaltata e eccitata.

Il guerriero che si getta nella mischia conosce un ridere che lo avvicina all’atterramento dell’avversario e alla vittoria. Beninteso, si tratta di un riso speciale. L’unico fra i nostri contemporanei che lo ha rappresentato con fedele freschezza è un geniale regista di una antica tradizione, di una antica terra di maschere, quella giapponese, Akira Kurosawa. Il settimo samurai, quello buffonesco interpretato da Toshiro Mifune, colui che ride e ghigna di fronte agli assalitori, è pur esso un vero samurai, se non addirittura uno dei più veri. Bisognerebbe chiedere agli orientalisti.

*

La specialità di questo genere di riso concerne il fatto che esso emerge soltanto per chi combatte in prima persona, contro forze che lo assalgono direttamente. Diverso è il caso di chi vince da dio ozioso, per così dire, esercitando una sua intrinseca superiorità e non sporcandosi le mani. Quando Zeus ( Iliade XXI, 389-90) vide gli dei entrare in battaglia il suo cuore rise di gioia.

Omero non lo presenta certo come un caso di riso sardonico. Il dio che ride nel modo sardo è nero.

Forse si può semplificare ulteriormente la affermazione e prendere atto che il dio dei Sardi è nero. Esso è la morte, sempre violenta, beffarda, vendicativa.

*

Per Kerényi, dietro la dea Nemesi, alata, ferina, inevitabile, sta la grande dea protomediterranea in forma di uccello. La Signora dell’uovo di fronte alla quale gli uomini sono disarmati e deboli, sono l’ucciso di cui ella è la madre.

Di quale riso ride la Madre mentre uccide il Figlio?

 *

Sardonico, sottolinea Kerényi, è il riso letale del dio anatolico Sandas (i Greci lo chiamavano Eracle), il Signore della città di Tarso in Cilicia, Ba ‘al Tarz.

Ma tutti gli dei ridono degli uomini, perfino quelli dal volto solitamente irato: Isacco vuole dire «Dio mi deride! Jiz-haq!», questa la esclamazione di Sara all’arrivo di un figlio alla sua tarda età.

Il Libro racconta a noi lettori stupefatti che la più grande progenie nasce da una madre vecchia e un dio capriccioso in vena di scherzare.

*

Ci sono dei che ridendo creano il mondo, altri che ridendo lo annullano. Il riso è distruttivo perché è creativo. La voce primordiale crea, la voce primordiale distrugge.

Giuseppe Lampis


Articoli correlati