Le origini della coscienza nell’uomo arcaico Memoria, simbolo, estetica

(da àtopon Vol. IV)

Julien Ries

Vogliamo tentare di individuare alcuni punti di riferimento che ci permettano di seguire la crescita della coscienza presso l’uomo arcaico.

Sebbene non abbiamo a disposizione dei testi, in quanto la scrittura ha inizio soltanto con il quarto millennio a. C., abbiamo tuttavia documenti che provengono dall’attività culturale dei primi uomini e il cui studio, grazie alle recenti scoperte, apre nuove prospettive.

Dobbiamo iniziare con il definire ciò che intendiamo per coscienza. Qui si tratta della coscienza psicologica (in tedesco Selbstbewusstsein), cioè di un sapere che accompagna l’attività psichica dell’uomo e da una parte lo fa essere consapevole di sapere ma d’altra parte lo fa essere consapevole di conoscere in maniera immediata la realtà del mondo esterno. Si tratta dunque di uno stato e di un sapere.

Il metodo che intendiamo qui utilizzare è semplice.

Poiché si tratta di seguire l’emergere e la crescita della coscienza nell’uomo, partiremo dalle tracce più antiche attualmente conosciute. Tenteremo di comprendere e di esplicitare le diverse tappe attraverso le quali queste tracce ci conducono e vedremo ad ogni tappa come si presenta ai nostri occhi la coscienza dell’uomo.

I. Da homo habilis a homo sapiens

1. Homo habilis, inventore della prima cultura

Venere di Laussel - Incisione su pietra calcarea
Venere di Laussel – Incisione su pietra calcarea

Apartire dal 1959, nei giacimenti di Olduwai in Tanzania ad est del lago Turkana in Kenia, alcuni archeologi e paleoantropologi hanno scoperto vestigia di crani risalenti a più di 2 milioni di anni1. Queste vestigia si trovavano tra ciottoli tagliati su una faccia (choppers) e anche su due facce (chopping tools): armi da caccia e oggetti di percussione, ossa di animali riutilizzate, strutture di capanne d’abitazione e di aree di lavoro.

Nel 1964, L. Leakey, Ph. Tobias e J. Napier hanno dato il nome di homo habilis agli uomini creatori di questa cultura di Olduwai nella quale troviamo un abbozzo delle culture umane che seguiranno2. Alla cultura che ha creato questi ciottoli intagliati, gli archeologi hanno dato il nome di cultura pebble.

Nel nostro contesto questa cultura interessa soprattutto per il fatto che in essa abbiamo l’utilizzazione dell’utensile da parte della mano dell’uomo, un bipede dalle mani libere. Nell’animale la mano stessa è l’utensile. A Olduwai l’uomo ha inventato l’utensile, cosa che suppone un’idea e un progetto. Per tagliare un chopper l’uomo ha dovuto scegliere il ciottolo adatto. Quindi è stato obbligato a eseguire tutte le operazioni necessarie alla realizzazione del suo progetto, cosa che suppone un intervento dell’intelligenza e dell’immaginazione. Ha dovuto cogliere i rapporti tra le fasi del lavoro e gli oggetti. Grazie alla sua immaginazione, l’uomo ha proiettato questo schema all’esterno ed è giunto alla realizzazione del suo progetto.

Creatore della prima cultura, l’uomo di Olduwai si è mostrato capace di elaborare progetti e di organizzare il lavoro. Il taglio bifacciale di alcuni utensili mostra che possedeva la nozione di simmetria. Ha scelto alcuni materiali basandosi sul criterio del colore, cosa che costituisce una prova dell’esistenza in lui di una coscienza estetica. Tutti questi dettagli ci fanno dire che l’homo habilis possedeva già tecniche di acquisizione, di fabbricazione e di consumazione, indici di una coscienza ad un tempo simbolica e creatrice. Secondo Yves Coppens “l’uomo, per la prima volta nella storia della vita, estende il suo territorio e sa di sapere”3.

2. Da homo erectus a homo sapiens

Homo erectus è l’anello della catena della specie umana che ha fatto la sua apparizione in Africa orientale, all’est del lago Turkana, 1.6000.000 anni fa. Ha riempito l’Antico Mondo (Asia, Cina, Africa, Europa) ed è scomparso da circa 150.000 anni. È il successore dell’homo habilis. In Asia le sue tracce più importanti si trovano a Chou-kou-tien e a Giava. Quest’uomo ha continuato a sviluppare l’industria della pietra. Ha anche inventato il fuoco, un’invenzione geniale che è stata la prima sorgente di energia domata dall’uomo. La scoperta di alcuni crani mutilati alla base fa pensare all’esistenza di rituali funerari.

Homo erectus si è lentamente trasformato in homo sapiens con il quale la cultura conoscerà uno slancio come si può vedere da numerose tracce di utensili. Il taglio bifacciale degli utensili progredisce, segno di una vera ricerca estetica (Terra Amata, Levallois). Il controllo e la produzione del fuoco sono un fattore costante. Con homo sapiens abbiamo le prime sepolture: quelle di Qafzeh in Israele, 90.000 anni fa, e quelle di Neandertal, dall’80.000 al 40.000. Queste ultime sono numerose: hanno dato scheletri interi; in alcune tombe si hanno tracce di differenti oggetti, di offerte alimentari e di silici tagliate. A Shanidar in Irak in una tomba risalente a 50.000 anni fa uno scheletro riposava su un letto di rami di efedra guarniti di fiori al centro di un cerchio di rocce.

L’esame dei documenti lasciati dall’homo sapiens mostra una nuova tappa della formazione della coscienza. Senza alcun dubbio la coscienza creatrice ed estetica percepita nell’homo habilis è divenuta più viva, ma i primi riti funerari sono il segno di una coscienza del mistero della vita e della sopravvivenza: si tratta di una coscienza religiosa che possiamo già indovinare alla fine del percorso dell’homo erectus. La presenza di tombe mostra che i vivi si occupano dei loro defunti ai quali si sentono legati da sentimenti di affetto e a cui vogliono assicurare un’esistenza post-mortem di cui sono testimonianza le cure e gli oggetti che le tombe hanno rivelato.

Con l’homo sapiens di Qafseh fino alla fine dell’epoca di Neandertal, siamo in presenza della ripetizione di riti funerari, segni di una vera esperienza della morte, ma anche segni di una memoria che è viva nella coscienza e nella vita dell’homo sapiens. L’esperienza religiosa è legata a questa memoria e a questa coscienza ed è legata all’origine della formazione delle prime tradizione religiose. Oggi i paleoantropologi non solo affermano senza alcuna esitazione che l’homo sapiens utilizzava un linguaggio ma asseriscono anche il linguaggio era già in uso presso l’homo erectus.

II. L’uomo magdaleniano: un homo religiosus

1. L’arte delle caverne

Affresco del palazzo di Cnosso - particolare di un corridoio, la scena del toro ed i ginnasti
Affresco del palazzo di Cnosso – particolare di un corridoio, la scena del toro ed i ginnasti

Il Paleolitico superiore inizia circa 35.000 anni fa e termina circa 9000 anni fa. L’apparizione dell’homo sapiens sapiens perfeziona l’industria della pietra, lavora anche l’osso, il corno dei cervidi, l’avorio e crea l’arte parietale e l’arte delle suppellettili. L’arte delle caverne e soprattutto la civiltà magdaleniana (da 25.000 anni fa a 10.000 anni fa) è fiorita essenzialmente nel Sud-Ovest della Francia, nei Pirenei, in Spagna nelle Asturie (Monti Cantabri) ma ne troviamo vestigia anche sulle coste europee del Mediterraneo.

L’apogeo di quest’arte va da 18.000 anni fa a 10.000 anni fa ed è rappresentato da 150 grotte decorate, considerate come santuari, talvolta chiamate “cattedrali della preistoria”. Le più belle sono Lascaux, Rouffignac, Niaux in Francia, Altamira, Monte Castillo, Ekain, Santimamine in Spagna. Gli studi fatti da Breuil a Lamaing-Emperaire e da Leroi-Gourhan evidenziano un tentativo di concettualizzazione, un cercare di strutturare un pensiero comune, segni di un alto livello culturale e simbolico4.

Emmanuel Anati attraverso la sua ricerca sulla concettualizzazione ha mostrato come l’arte abbia contribuito alla formazione dello spirito umano5.

2.  Un’arte simbolica

Sulla base dello studio degli stili, A. Leroi-Gourhan ha mostrato come l’arte paleolitica sia legata, durante tutta la sua durata, ad uno stesso fondo simbolico e subisca una curva evolutiva coerente. Ciò è di importanza capitale in quanto mostra che l’arte esprime un messaggio e che non si tratta né di arte per l’arte né di totemismo. Un numero importante di segni e di simboli si incontrano nelle grotte e nell’arte delle suppellettili (utensili, placche di pietra o di osso). Ogni caverna partecipa alla composizione simbolica grazie alla diversità di forme delle cavità. Tutto ciò è manifestamente legato a tradizioni culturali nelle quali intervengono l’associazione delle specie animali, dell’uomo, della donna e dei simboli geometrici.

Leroi-Gourhan ha stabilito una seconda base importante per l’interpretazione dell’arte magdaleniana: il legame tra l’assemblamento delle figure rappresentate e il linguaggio. I simboli dipinti sul muro e sui soffitti hanno il loro senso soltanto nel contesto di un discorso esistente. Gli animali e gli scenari rappresentati costituivano dei mitogrammi, cioè delle figure non meramente aneddotiche ma radici di miti. Il disegno del soffitto richiede una spiegazione orale: i segni e le immagini hanno bisogno del racconto e della parola. Le grotte di Lascaux e di Rouffignac ci hanno rivelato numerose tracce di passi di adolescenti ammessi all’interno, manifestamente in vista delle cerimonie di iniziazione.

L’arte parietale franco-cantabrica è piena di mitogrammi, che rappresentano personaggi che acquistano il loro vero senso solo nel momento in cui vengono animati da un discorso. Ciò ci fa comprendere che il pensiero mitico ha le sue radici nelle profondità del Paleolitico.

3. Un’arte religiosa

Nel Paleolitico superiore i riti funerari acquistano grande estensione: oggetti da ornamento nelle tombe, conchiglie, denti, canini di cervo, uso generalizzato dell’ocra rossa. Manifestamente c’è una cura dei viventi nei riguardi dei defunti: preoccupazione di protezione post-mortem, preoccupazione di dare ai defunti occhi di eternità per mezzo di conchiglie inserite nelle orbite oculari, cura speciale del cranio.

Questi diversi indizi debbono essere presi in considerazione quando si interpreta l’arte delle caverne perché sono il riflesso della cultura.

Le grotte sono dei santuari legati alla cultura della popolazione del circondario. Ogni santuario ha la sua identità e la sua simbolica con i suoi mitogrammi dipinti sui soffitti e le pareti al fine di servire alle cerimonie d’iniziazione e forse a diverse cerimonie cultuali. Il numero e la qualità dei mitogrammi suggeriscono miti cosmogonici e miti di origine. Le statuette femminili sarebbero forse i testimoni dei primi culti della fecondità. Alcune danze circolari fanno pensare anch’esse a riti di iniziazione.

Possiamo dunque dire senza la minima esitazione che l’arte magdaleniana è il riflesso della coscienza dell’homo religiosus che fa l’esperienza del sacro, ha la percezione della trascendenza e grazie ad una memoria religiosa, grazie ai miti e ai simboli, fa riferimento alle origini, al cosmo e al mistero della vita. Per la prima volta l’uomo antico testimonia una storia sacra ricordata e vissuta da un clan che pare trarne modelli per una condotta di vita. Percepiamo le prime tracce della coscienza religiosa di una comunità.

III.  La formazione della coscienza del divino

Rappresentazione tardo-paleolitica di un cervo - Lascaux (Dordogne)
Rappresentazione tardo-paleolitica di un cervo – Lascaux (Dordogne)
1. La sedentarizzazione e l’agricoltura

Nel X millennio nel Vicino-Oriente comincia un fenomeno che avrà una ripercussione decisiva sull’avvenire dell’umanità.

Col favore del riscaldamento del clima l’uomo lascia i suoi rifugi naturali e si installa all’aria aperta. La sedentarizzazione è un processo naturale e progressivo di fissazione al suolo in agglomerati di habitat costruiti.

La popolazione vive grazie a un ambiente favorevole: per questo diviene stanziale, si raggruppa, si alimenta e fabbrica utensili. È la creazione dei primi villaggi che fanno nascere una civiltà nuova, chiamata “natufiana” e che durerà fino all’8300. Questi villaggi vivevano di pesca, di raccolta, di caccia di selvaggina di montagna. Non conoscono l’agricoltura, la qual cosa prova che la sedentarizzazione è stata un elemento culturale e non un avvenimento inizialmente economico, come pretendeva la scuola di Gordon Childe.

Jacques Cauvin ha studiato l’evoluzione dei villaggi di Siria e di Palestina e ha situato la nascita dell’agricoltura verso l’8300. Con l’inizio dell’agricoltura coincidono la domesticazione degli animali selvaggi e l’invenzione di nuove tecnologie. Cauvin constata che l’uomo non ha inventato l’agricoltura a causa di una necessità alimentare, in quanto aveva grandi risorse a disposizione. La vera motivazione va cercata dal lato della psicologia sociale. Egli trova un argomento a favore della sua tesi nella progressione demografica rapida mostrata dal considerevole ingrandimento dei villaggi. A suo avviso i lavori dei campi rispondevano a un bisogno di equilibrio all’interno della società.

Una conferma di questa ipotesi si trova nella levigazione della pietra, nella ceramica, nella nuova tecnologia e nei nuovi utensili.

I lavori di Cauvin e di Perrot mostrano che nella crescita dell’umanità l’influenza dello spirito e della coscienza umana hanno esercitato un ruolo preponderante.

2. La nascita simbolica degli dei

La figura umana era già conosciuta dall’arte delle caverne e dalle rappresentazioni femminili, cioè le Veneri di Aurignac. La civiltà natufiana non ha lasciato molte tracce di figure umane. Queste cominciano a trovarsi nell’VIII millennio nella regione dell’Eufrate. Jacques Cauvin di Lione ha consacrato uno studio approfondito alla figura della grande dea scoperta a Mureybet, villaggio del Medio Eufrate nel quale viveva una grande popolazione già prima dell’invenzione dell’agricoltura6.

Nella documentazione dei due millenni dell’arte natufiana troviamo rappresentazioni orizzontali, soprattutto animali, come nel Paleolitico.

Verso l’8.300 a Mureybet, appaiono due figure che spiccano in rapporto alle altre: una figura femminile e una figura animale, quella del toro. Queste due figure sono due simboli che troviamo alla stessa epoca in Siria e in Palestina, prima dell’invenzione dell’agricoltura. Esse sono il segno della nascita di un’arte nuova e dunque della coscienza nell’uomo di un pensiero nuovo.

Si tratta di due simboli chiave che danno adito all’interpretazione dell’arte neolitica che troviamo molto diffusa in Anatolia, in Siria e in Palestina nel VIII millennio e di cui la documentazione più importante è la città di Çatal Hüyük che fu occupata dal 6.200 al 5.500 a.C. In questa città gli archeologi hanno trovato una grande quantità di santuari domestici, di affreschi dipinti, di alto-rilievi, di statue.

I due simboli, la dea madre e il toro, occupano un posto di rilievo. Si tratta di due divinità in presenza delle quali si ergono esseri umani, con le braccia alzate verso di esse in un gesto di implorazione o per lo meno di relazione.

3. Coscienza del divino e sua rappresentazione da parte dell’Uomo

Nether - Tomba di Seti I (Tebe)
Nether – Tomba di Seti I (Tebe)

Con la civiltà natufiana, all’alba del Neolitico, siamo in presenza di una nuova documentazione che gli archeologi sono sul punto di mettere a nostra disposizione. Questa documentazione ci fa percepire quattro tappe nella crescita dell’uomo a partire dal X millennio.

1. La sedentarizzazione, un fatto culturale che sfocia nella creazione di comunità di villaggio.

2. La creazione di un’arte nuova nella quale emergono due simboli: la donna feconda e il toro.

3. L’invenzione dell’agricoltura, del lavoro dei campi e della ceramica segnano l’inizio del Neolitico

4. La creazione di santuari, la moltiplicazione delle statue della dea madre e del toro, i primi oranti con le mani levate verso le divinità e la diffusione di questa religione in tutto il Vicino-Oriente dal VI millennio, quindi nel mondo mediterraneo.

L’uomo, secondo Cauvin, ha creato ormai una vera religione. Ha preso coscienza del divino, e la esprime attraverso simboli e rappresentazioni, per mezzo di significanti come le statue e gli affreschi. Per la prima volta nella storia dell’umanità si manifesta la coscienza della necessità di relazioni dell’uomo con la divinità. I gesti della preghiera di Çatal Hüyük, e che si ritrovano nel V millennio in Italia nella Valcamonica, traducono una coscienza nuova nell’uomo. Con la personificazione del divino, la credenza in esseri supremi permette all’uomo del Natufiano e del Neolitico di volgersi verso le sue divinità con lo sforzo della preghiera.

Bisogna anche accennare ai numerosi messaggi funerari dell’epoca neolitica. La grande omogeneità nei riti di inumazione, la scoperta di una casa dei morti a Byblos, il trattamento speciale riservato ai crani, i vasi di offerte nelle tombe, l’importanza della tomba per la vita nell’aldilà, la prossimità dei viventi con i loro defunti, la relazione con la divinità la cui presenza è segnata nei santuari, come nel caso di Çatal Hüyük, sono il segno di una vera coscienza della sopravvivenza dell’essere defunto7.

4. Coscienza della presenza degli dei

Giunti in Mesopotamia nel corso del IV millennio, i Sumeri esercitano una grande influenza sulle popolazioni. Costruiscono le grandi città -stato di Nippur, Eridu, Uruk, Lagash, Ur e Mari. Questo popolo straordinario, grazie al suo ricco immaginario, ha genialmente inventato la scrittura cuneiforme. Si tratta di una vera esplosione culturale e religiosa. Grazie alla scrittura giungiamo a penetrare all’interno del pensiero dell’homo religiosus mesopotamico. I Sumeri sono quindi raggiunti da semiti venuti dall’Ovest, con il nome di Accadi, che accettano la loro scrittura, la loro arte, la loro cultura.

Sumeri e semiti rappresentano le divinità sotto forma umana e attribuiscono loro come caratteristiche la luce e lo splendore. La luminosità divina è una forza, rappresentata da un alone intorno alla testa della statua divina.

L’India, l’Iran e l’Occidente riprendono questa simbolica mesopotamica. Lo splendore divino irradia sui vestiti della statua e all’interno dei santuari e dei templi. Il rito dell’incoronamento delle statue acquista un’importanza primordiale perché si ritiene che questo rito conferisca alla statua divina una potenza soprannaturale.

Grazie alle tavolette ritrovate dopo il XIX secolo, abbiamo epopee, inni, preghiere che ci mostrano come l’homo religiosus mesopotamico del III e II millennio desse al sacro le sue vere dimensioni: trascendenza di dei e dee, architettura sacra dei templi e dei santuari, sacro valore delle statue, forza dei rituali grazie alla luce, al fuoco e ai sacerdoti.

L’uomo mesopotamico ha coscienza della grandezza degli dei e cerca la loro presenza. Cerca di conoscere i decreti divini al fine di sottomettervisi, perché sono gli dei che regolano il destino dell’uomo. Questa coscienza della grandezza degli dei, della condizione umana di sottomissione alle divinità è il leitmotiv della preghiera e del culto reso alle diverse divinità che si riteneva abitassero in cielo ma anche nel tempio del santuario.

Attraverso lo ziggurat, una torre che collega cielo e terra, i sacerdoti comunicavano con la divinità, la facevano scendere tra gli uomini affinchè percorresse i luoghi sacri ed essi potessero riceverne la benedizione.

Nella stessa epoca vediamo l’emergere della religione

faraonica ai bordi del Nilo. Dall’inizio del III millennio, data dell’unificazione del paese e dell’invenzione della scrittura geroglifica, i primi teologi tentano di spiegare i misteri che suscitano la meraviglia degli abitanti della valle e del delta del Nilo: il levarsi del sole ogni mattina; la crescita annuale del fiume e l’inondazione con una impressionante regolarità, senza che ci sia mai pioggia; acqua a profusione e limo fertile; tra due deserti una terra nera coperta da una vegetazione lussureggiante sotto un cielo luminoso.

Heliopolis, Memphis, e Hermopolis, tre città che molto presto irraggeranno la loro teologia, avranno un’influenza durevole sul pensiero religioso.

L’Egitto tenta di definire la nozione del divino, neter, la potenza: la personifica. Ciò dà luogo alla rappresentazione di 753 divinità : signori divini locali, dei e dee cosmici, dei dei saggi.

Tutti questi dei e dee sono portatori di una potenza che gli egiziani esprimono attraverso simboli e attraverso segni presi nel mondo umano o nel regno animale. La meraviglia davanti alla creazione ha portato i fedeli a scoprire il mistero della vita e del suo carattere sacro. È l’opera divina per eccellenza rappresentata dal simbolo misterioso ankh onnipresente.

Veramente impressionato dal mistero della vita, l’egiziano attende dal Faraone il culto quotidiano reso agli dei in tutti i templi dai preti suoi delegati.

In ogni tempio la divinità è presente nella sua statua e veglia sul buon andamento del cosmo. In ogni tempio il naos è il luogo segreto e sacro per eccellenza, cellula della residenza divina. Mat è lo stato della creazione, della natura e dell’Egitto previsto dagli dei creatori. È anche diritto, ordine, giustizia e verità garantita dal Faraone. In tal modo, l’homo religiosus dell’Egitto faraonico vive una meravigliosa esperienza del sacro segnata dal senso del divino e dall’amore per la vita.

Dall’inizio del III millennio, l’uomo della Mesopotamia e dell’Egitto, conscio della presenza del divino nel mondo, cerca di rappresentarlo per mezzo di simboli molto diversi e cerca di attirarlo, di collocarlo in templi che divengono la dimora del sacro, sempre ricostruiti sullo stesso luogo. In ogni tempio il naos, il santuario, è il luogo del sacro per eccellenza nel quale i preti rendono culto alle divinità. In Egitto ogni mattina il sacerdote, delegato dal faraone, fa discendere l’anima del dio o della dea nella statua del naos. Nelle religioni sumerica, accadica, egiziana, babilonese, un calendario di feste organizza le assemblee del popolo e i giorni festivi.

Attraverso gli oracoli, attraverso la divinazione, si manifesta la volontà divina. Grazie alla scrittura, la memoria delle generazioni si trasmette direttamente e le tradizioni orali sono rinforzate dalla diffusione di miti e di riti attraverso la tradizione scritta.

In pochi millenni l’homo religiosus è presente dappertutto nel Vicino-Oriente e nel Mondo Mediterraneo, in Egitto, in Iran, in India, in Cina.

Julien Ries


NOTE:

1) Ph. V. Tobias, Paleoantropologia, Jaca Book, Milano 1992.

2) Idem.

3)Y. Coppens, Le singe, l’Afrique et l’homme, Fayard, Paris 1983, tr. it., La scimmia, l’Africa e l’uomo, Jaca Book, Milano 1985; AA. VV., La main dans la préhistoire, «Dossiers de l’archéologie», n° 178, Gennaio 1993.

4) A. Leroi-Gourhan, Le geste et la parole (vol. I: Technique et langage, vol. II: La mémoire et les rythmes), Albin Michel, 2ª ed., Paris 1991.

5) E. Anati, Valcamonica. 10.000 anni di storia, Capo di Ponte 1987.

6) J. Cauvin, L’apparition des premières divinités, in La Recherche, Paris 1987, n° 194, pp. 1472-1480.Paris 1987, n° 194, pp. 1472-1480.

7) J. Mellaart, Çatal Hüyük, Thames & Hudson, London 1967.


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