Lettera a un amico psicologo (da àtopon - Quaderno 1/2006)

Giuseppe Lampis

Il vero psicologo deve imparare a uscire dalla psicologia. È paradossale ma questa è l’unica strada per fare bene il proprio lavoro. Potremmo forse meglio dire, che deve imparare a uscire dallo psicologismo. Non bisogna fissarsi, in altri termini, in un campo di lotta favorevole alle forze che devono essere piegate e trasformate. Lo psicologo, se accetta di rimanere dentro un circuito tecnico ristretto, finirà per diventare un ricettacolo di infezioni crescenti e sarà portato a fondo o alla stupidità e all’indifferenza. Egli, al contrario, non deve farsi trattenere nel terreno pantanoso.

D’altro canto, non esiste lavoro analitico che non scoperchi le cantine e non ne faccia uscire le forze che vi abitano. Il rischio è evidente e però deve essere corso in un quadro di superiore capacità di difesa e assorbimento. Il chirurgo mette la mascherina sulla bocca e i guanti di lattice sulle mani non solo per non contagiare il suo paziente ma per non esserne contagiato. Tuttavia quella del chirurgo è, per così dire, una difesa passiva, sufficiente per una azione circoscritta e tecnicizzata.

Ulisse incontra Tiresia nell'Ade
Ulisse incontra Tiresia nell’Ade

Lo psicologo ha che fare con influenze, spinte, forze di costituzione più virulenta e però anche più sfuggenti e scaltre.
Finché il dinamismo della psiche viene affrontato nell’ambito di una psiche ristretta, le forze infere avranno gioco facile e scontato. Lo psicologo diventerà suo malgrado loro succube e, lui che vorrebbe ricostruire la città, assomiglierà a uno spazzino delle strade e non a un architetto che le traccia.

La psiche non è ristretta, che sia ristretta lo credono – o sono indotti a crederlo – coloro che sono stati irretiti e illusi dalle forze infere. I confini dell’anima, dice Eraclito, non li troverai nemmeno se percorrerai tutte le strade. Chi scende nell’anima non deve fermarsi all’anima. Non deve fermarsi all’anima perché è l’anima stessa che va oltre.

Le figure che in essa si incontrano sono come quelle che Odisseo chiama dagli inferi sull’orlo della fossa in cui offre il sangue di un montone. Dèmoni insignificanti che non vanno presi in considerazione e ai quali sarebbe erroneo attribuire poteri che non hanno, signori delle ombre con i quali è opportuno discorrere per farsene raccontare le esperienze, indovini che conoscono le mappe della vita, ma l’incontro non deve essere protratto oltre il suo limite; Odisseo sente il fascino di tante altre figure che si affollano all’orlo da cui si affaccia eppure lo interrompe, temendo che la dea del regno sotterraneo non gli si presenti con il volto della Gorgone e lo raggeli.

Se lo psicologo si fa prendere dalla illusione psicologistica, resta sull’orlo della fossa e sarà lui a fornire il sangue che nel frattempo il montone avrà esaurito.

Fuori di metafora, lo psicologo non deve diventare un accumulatore di energie negative che si nutrano parassitariamente della sua vitalità. Il suo compito è sì quello di evocare i dèmoni ma per domarli e metterli al servizio della salute, del bene e non per diventarne il capro espiatorio.
Il lavoro analitico ricalca a grandi linee il percorso di un rito iniziatico. Nella iniziazione, il fanciullo passa attraverso una morte rituale, non apprende nozioni intellettuali, vive la morte, il distacco, la precarietà, la fragilità, viene esposto all’aggressione del nulla. Non può fermarsi a metà strada. Tra il fanciullo che era entrando nel processo e l’adulto che diventerà alla uscita della prova, non c’è un altro stadio, c’è soltanto la fissazione e la insignificanza.

Il dolore deve avere uno sbocco e una finalità. L’aggressione deve portare alla trasformazione. Nei riti arcaici, il dolore non è psicologico come lo intendiamo noi, anzi è prevalentemente fisico. A dire meglio, il dolore psicologico non è un surrogato, non è distinto dal freddo, dalla fame, dalle ferite, e fa tutt’uno con la solitudine nella boscaglia, con la angoscia della propria debolezza, con la disperazione di non potercela fare a vivere di furti e rapine come un animale.

Tuttavia un dolore finalizzato può essere sopportato. Non lo potrebbe un dolore assurdo e insensato, se non a prezzo dell’ottundimento e della rinuncia a esistere.

L’attacco delle forze infere deve essere interpretato e incanalato. Non bisogna scambiare i folletti per la Gorgone, ma nemmeno il contrario.
Epperò il primo punto, il punto preliminare, è poter porre un termine alla discesa ad inferossaperla chiudere al momento giusto. La discesa è inevitabile, ma bisogna fare attenzione che non sia a tempo indeterminato e non divenga la tappa finale.

L’incontro con i topi della Peste di Camus sarebbe annientante se si concretizzasse in stati di vampirismo o di satanismo.
Gli ebrei nella festa dello yom kippur a ottobre caricavano i mali e le infezioni di ciascuno su un capro allevato ad hoc e poi lo mettevano fuori delle mura della città spedendolo in dono al dio del deserto: il dio del male ha bisogno di essere sfamato, meglio farlo da lontano.

Lo psicologo deve far attenzione a non peccare di hybris, cadendo nella tentazione di credersi novello maestro di Nazareth capace di reggere sulle proprie spalle tutto il male che trafigge gli uomini.

È interessante, ad esempio, vedere il comportamento di quelle persone che si occupano degli «ultimi», dei reietti, dei poveri, dei malati, non dei semplici marginali ma proprio dei dannati della terra. Come possono produrre effetti positivi con la loro iniziativa? Esse nel tempo stesso accettano e respingono, sono vicine e sono distaccate, assistono e non si fanno affondare dalla miseria. Non è indifferenza, è dominio di sé appreso dominando la sfida che viene dal male che hanno scelto di curare.

La Biga Alata
La Biga Alata

Si deve ancora prestare attenzione alla trappola del sentimentalismo pietoso. Lo psicologo non è l’Arpa birmana. Il soldato birmano di quel famoso film degli anni 60 del Novecento invece di tornare a casa si trattiene sui campi di battaglia a seppellire i cadaveri perché sente che sono suoi fratelli e si sente responsabile della loro morte. Per uno psicologo sarebbe una trappola infantile.

Abbiamo cominciato con l’affermazione che il vero psicologo deve imparare a uscire dalla psicologia. Il vero psicologo deve intraprendere, cioè, un cammino a ritroso. Arrivato al Minotauro, deve uscire, rovesciando il cammino, e – si potrebbe dire – trasformando il Minotauro in Arianna. Lo aveva compreso Dante che dopo aver attraversato l’inferno e essersi accostato ad ogni sorta di male umano, si affretta ad uscire dall’inferno, “a riveder le stelle“, risalendo dalle profondità percorrendo in contropelo lo stesso Lucifero.

I dèmoni evocati e attirati con il profumo del sangue o con il suono del tamburo devono diventare dèmoni ausiliari. Lo sciamano che non riesce in ciò, non può diventare sciamano bianco e diventa sciamano nero. Lo sciamano bianco ha fra i suoi compiti supremi quello di scovare e combattere lo sciamano nero.

Dobbiamo fare uno sforzo di sincerità e imparare la lezione antica. Dobbiamo riconoscere che nell’ambito della psicologia è aperto un conflitto tra veicoli di forze negative e coloro che puntano alla liberazione dall’attacco del nulla.

Non basta, in un certo senso, occuparsi dell’iniziazione del fanciullo, si rende altresì necessario smascherare i «fabbricatori di menzogne».
L’azione efficace deve essere una azione di rovesciamento dialettico.

I dinamismi che affiorano dallo scoperchiamento delle cantine devono essere inseriti in un quadro superiore che li trasformi in fonte di vita.
Possiamo concludere ricordando un mito raccontato da Platone. Nel Fedro, l’anima è paragonata a un cocchio trainato da due cavalli, uno nero e bizzarro rappresentante gli istinti negativi, l’altro bianco e mansueto rappresentante le tendenze positive, l’auriga che tiene le briglie è la ragione. Il cocchio corre lungo le vie del cielo superiore dove è possibile contemplare le eterne forme dell’essere. I guidatori dei cocchi per i quali le bizzarrie del cavallo nero prevalgono non vedranno che poco o niente; quelli che invece sapranno tenere i due cavalli in carreggiata vedranno molto e sapranno la verità delle cose.

Verità delle cose, anche qui, non è soltanto un elemento intellettuale, ma è vita. Le eterne forme non sono semplici fantasmi, sono fonti di vita e potenze, contemplarle equivale a partecipare di esse.

E solo questo sapere, questa episteme può vincere il dolore.

L’anima-cocchio di Platone non è soltanto un’anima, una piccola anima individuale, i suoi confini si estendono ben oltre. Le anime partecipano di una lotta più grande e sono una lotta più grande.

La lotta in questione riguarda la posta più alta, la vita, l’essere, e il nemico da battere è il nulla e coloro che dal nulla sono stati vinti e domati sì da divenirne schiavi. Se non si capisce di essere al centro di un campo di battaglia, si è sconfitti in partenza.

Se le dinamiche della psiche sono una lotta, un contrasto tra spinte concorrenti e addirittura opposte, la strada interna che si offre alla psiche è la dialettica, la legge del rovesciamento, la legge della negazione della negazione.

La principale delle quali è proprio la negazione della chiusura della psicologia nella psicologia.

Giuseppe Lampis


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