All’alba del terzo millennio, dopo aver celebrato tanti trionfi sulla materia, l’uomo si trova oggi quanto mai smarrito.La scienza ha debellato i grandi flagelli che si erano abbattuti sull’umanità nei secoli passati solo per assistere alla nascita di nuovi flagelli, ancora più temibili, la cui soluzione, come la tranquillizzazione delle nostre angosce, viene rimandata a un tempo indefinitamente lontano.
Ma ciò che forse sembra più evidente è che l’uomo occidentale (il più evoluto sul piano della tecnologia) non è capace di trovare risposte soddisfacenti proprio perché, procedendo nella sua ricerca, ha dimenticato la domanda fondamentale. Chi è l’uomo? Quale il suo rapporto con il cosmo, con le cose visibili e quelle invisibili?
L’homo technologicus ha perduto il senso della sua vita, ha smarrito il cammino e si è perso nel labirinto perché non ha più saputo tenere quel filo capace di guidarlo. Si ritrova così ad essere un bambino perso nel buio, sopraffatto dall’angoscia, invano alla ricerca di una base sicura su cui poggiare.
Ma, come ha scritto Jean Servier in L’Uomo e l’invisibile “…ciascuno di noi può meditare e cercare di decifrare le umili tracce lasciate nei corridoi dei labirinti dai piedi dei nostri fratelli”.
Forse è possibile ritrovare tra le ceneri “le mot de passe” (la parola segreta che apre il passaggio) che tutte le antiche tradizioni, attraverso le iniziazioni, vi hanno scritto. “Questa parola è Universo e la sua risposta è Uomo”.
Infatti l’uomo delle civiltà tradizionali, cioè delle civiltà che hanno posto il loro fondamento e la loro stabilità sulle tradizioni sapienziali tramandate da millenni, ha coscienza del suo posto nel mondo. Non deve interrogarsi ogni momento sul senso dei suoi gesti, in quanto sa che ciascuno di essi è collegato alla sempiterna vicenda cosmica. Non è atterrito dalla morte, perché essa gli è familiare come il tramonto del sole e la vive egualmente necessaria al ciclo vitale del cui messaggio egli, in quanto uomo, è destinato a farsi decifratore.
L’antropologia simbolica si pone il compito di guardare alle questioni fondamentali dell’uomo e alle risposte che egli ha dato nelle differenti culture, ed in questo cerca di aiutare l’uomo di oggi a meglio comprendere le sue radici. Alle esperienze e alle conoscenze scisse in compartimenti chiusi l’antropologia contrappone un modello di approccio globalizzante al quale concorrano tutte le scienze che guardano all’uomo e al suo rapporto con la natura (etnologia, psicologia, biologia, archeologia, paleologia, ecc.).
L’antropologia simbolica vede l’uomo innanzitutto come homo symbolicus, cioè un uomo non chiuso esclusivamente in una dimensione orizzontale, non consegnato ad esperienze banali e mondane, ma un uomo a cui sia consustanziale l’apertura ad un’esperienza di trascendimento, un uomo che sappia leggere nelle cose che lo circondano i segni del divino, e dunque un homo religiosus.
Usiamo anche il termine di psicoantropologia, intendendo segnalare che il punto di partenza delle nostre letture è quello dell’esperienza psichica, cioè di ogni accadimento che riguardi la psiche umana. Ma appunto la lettura di questa esperienza non viene fatta esclusivamente con gli strumenti delle scienze psicologiche, ma con una modalità transdisciplinare.
Tale modalità situa i rapporti tra le varie discipline all’interno di un sistema globale senza frontiere stabili tra le discipline stesse e muove verso l’unificazione del sapere e delle conoscenze. La transdisciplinarità non si colloca infatti in uno spazio definito, ma vuol essere luogo attraversato dal flusso delle informazioni e dagli apporti delle singole specializzazioni, e soprattutto luogo di apertura, comprensione, libertà, tolleranza, per necessità epistemologica, oltre che per esigenza morale.