La nascita della filosofia

Giuseppe Lampis

… «sapiente» mi pare un titolo grandioso, 
giustificabile solo per un dio, 
invece un appellativo del tipo «desideroso del sapere» (filo-sofo) 
potrebbe definire meglio il piano in cui si trova l’uomo. 
(Platone, Fedro 278 d)

La filosofia nasce adulta e all’improvviso? I cosiddetti precedenti non spiegano niente. Considero che il nuovo, se è nuovo autentico, non è certo una semplice riformulazione del vecchio.

Figura femminile che rappresenta la Filosofia - Sant'Agostino, La Città di Dio fol.287 - Bruxelles, Biblioteca Reale
Figura femminile che rappresenta la Filosofia – Sant’Agostino, La Città di Dio fol.287 – Bruxelles, Biblioteca Reale

Inoltre, in questo caso, i precedenti sono stati cercati sotto il condizionamento di un equivoco: che per pensare occorra farsi filosofi; come se poeti e sacerdoti non avessero pensato e trattato il tema della verità, dell’origine del mondo, del significato dell’uomo, del suo destino ecc. Che poeti e sacerdoti lo abbiano fatto non costituisce un precedente che spiega la prima filosofia, poeti e sacerdoti non sono i gradini inferiori di un altare su cui si erge la filosofia.

Questo non esclude però che Eraclito e Parmenide fossero del genere dei poeti e dei sacerdoti. C’è un tipo di sapiente visionario, di apritore di orizzonti, di testimone di rivelazioni trascendentali, di oracolo, che incarna bene quello che nella Grecia del V secolo avanti la nostra era è un poeta, colui che pronuncia la parola, il privilegiato depositario dei misteri della parola.

Quand’anche Eraclito e Parmenide e, prima di loro, il poco conosciuto Anassimandro fossero poeti, oracoli, sapienti, non avremmo con ciò ugualmente capito il nuovo che con loro è successo.

Che cosa è successo ce lo dice Platone nel Fedro (278 d): sono arrivati i «cercatori del sapere».

La cosa presuppone che la «sapienza» totale sia ritenuta diversa da quella finallora invalsa e che non sia alla portata degli uomini. Ne consegue che chi insista a proporsi «sapiente», senza averne lo statuto esistenziale, suscita incredulità e derisione. (A maggior ragione Platone sarà critico verso chi si proporrà «sapientissimo», sofista.)

Allorchè questi «desiderosi del sapere» fanno la loro comparsa, dominano la scena. La filosofia nasce adulta e all’improvviso. Perciò viene per forza da fuori e dobbiamo cercare dove, presso poeti e sacerdoti, era diventata urgente quella particolare inaudita curvatura dell’intuizione e della prospettiva dei problemi di sempre.

E dove la tradizione era andata in crisi e una rivolta si era preparata?

Qui entrerebbe in ballo una questione che per ora non voglio approfondire: se la crisi della tradizione introduca una decadenza e una degenerazione e se pertanto la nascita della filosofia segni l’avvento di un ciclo o sottociclo involutivo. L’altissimo livello e il prestigio di Talete, Anassimandro, Pitagora, Parmenide, Eraclito non è in contrasto con una simile possibilità. Anche un’eruzione vulcanica e un maremoto sono grandiosi e incutono rispetto e stupore.

La tradizione che in Grecia viene sovvertita e accantonata è quella olimpica. Non deve fare velo il fatto che ci sia una connessione tra una delle componenti essenziali della tradizione olimpica, la religione degli eroi, e il nuovo spirito.

Tornando alla domanda precedente sul dove, le maggiori evidenze portano alla religione e alla sapienza vedica e iranica. Ma una connessione con un’ecumene, o addirittura un’appartenenza, a sua volta ancora non spiega. C’è in Grecia un elemento specifico che rompe e qualifica. C’è in Eraclito e in Parmenide un elemento determinante che non sta mai in primo piano nelle Upanishad, nel Rg Veda, nelle gatha zarathustriane. Forse è il virus di una malattia contagiosa. Si tratta del primato dell’egó.

La discussione diventa spregiudicata, la filosofia è sempre critica. I primi filosofi sono polemici fino all’astio.

L’intuizione di Nietzsche che filosofia e tragedia sorgano assieme è particolarmente utile. Per Nietzsche la filosofia seppellirà la tragedia, eppure troveremo che c’è del vero nella sua tesi di fondo.

La nascita della filosofia ha effettivamente a che fare con lo spirito della tragedia, ma le due sono talmente intrecciate che difficilmente l’una avrebbe potuto liquidare l’altra senza commettere suicidio.

Nietzsche aveva pensato che la filosofia avesse smorzato la tragedia applicando lo schema che l’intelletto critico smorza la religione. Nel suo linguaggio, era Apollo che negava Dioniso. Un pensiero che contiene un doppio errore: il primo è che la filosofia non è la «non religione» bensì un’altra religione, il secondo è che la tragedia è già a sua volta una religione che aggredisce la religione tradizionale.

In conclusione, la filosofia, o i «filosofi», sono i protagonisti di un attacco micidiale contro lo spirito olimpico. L’attacco fa leva su un’ondata di sollevamento generale che ha avuto il suo epicentro maggiore in India e in Iran. il criticismo sviluppato contro la religione olimpica diventerà da quel momento un valore.

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Raffaello Sanzio - La scuola di Atene - Musei Vaticani
Raffaello Sanzio – La scuola di Atene – Musei Vaticani

Il problema della «nascita» della filosofia crea imbarazzo perché, se è vero che la nascita è un evento specifico, è altrettanto vero che il prosieguo e la conclusione sono prosieguo e conclusione di ciò che è nato. Si tende pertanto a guardare la nascita con un certo strabismo.

Lo studioso che indaga la nascita e la vede in Parmenide, ad esempio, o in Eraclito, o magari in Platone, non può non tenere l’occhio sul fatto che bisogna anche far dipendere da quella nascita Cartesio, ad esempio, o Hume, e Carnap, e Wittgenstein. D’altronde il concetto di nascita è un concetto biologico. Però, a loro volta, prosieguo e conclusione constano di altrettante «nascite» e creazioni originali. Per queste sommarie ragioni la formula del problema «nascita della filosofia» è ambigua e si presta a equivoci.

La formula è implicitamente emersa quando Aristotele, autogiudicandosi approdo sommo dello spirito della verità, ha indicato lungo la strada che conduceva alla sua conquista le prime e parziali tappe altrui. Aristotele si considerava il culmine dello spirito critico armato della logica formale, in breve di quello che sarà chiamato spirito scientifico. Robin ha intitolato con piena convinzione una storia del pensiero greco «Le origini dello spirito scientifico».

La filosofia per Aristotele è la ricerca delle origini del reale (le cause prime) e quindi nasce appena uno studioso si dedica all’impresa. Se la filosofia è lo studio delle cause prime, non c’è dubbio: la filosofia inizia, nasce, con gli jonici che egli chiama fisici.

Ma la filosofia può essere ed è una cosa diversa dall’idea che ne aveva Aristotele? È stato risposto di sì: studiare l’origine non equivale necessariamente a studiare cause, l’origine può avere un altro carattere.

In ogni caso, il concetto di causa investe il problema del divenire, della physis e, in definitiva, Aristotele ci ha indicato che la filosofia nasce quando questo problema diventa dominante.

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Il problema della nascita della filosofia è stato inventato da Aristotele ed è rimasto in prevalenza impostato sul cardine di che cosa egli pensava che fosse la filosofia o, meglio, di quella che è stata ritenuta essere la sua innovazione rispetto ai precedenti. Sto parlando dello spirito scientifico. Ancora nei nostri tempi, Léon Robin, peraltro fortemente legato a Platone, intitolava nel 1923 programmaticamante il suo libro di storia della filosofia greca «La pensée grecque et les origines de l’ésprit scientifique».

Una convinzione consolidata e diffusa. Dunque, la filosofia sarebbe sorta da uno slancio antagonista verso poeti e sacerdoti, e in sostanza contro il mito.

A ben vedere, neanche Nietzsche a partibus mutatis si sottrae al presupposto aristotelico. Egli sostiene infatti che lo spirito filosofico, impersonato da Socrate ed Euripide, scaccia e dissolve con il suo criticismo scetticheggiante l’entusiasmo religioso imperniato sul dionisismo e la tragedia originale.

Gli studiosi che si sono mossi sulle orme di Nietzsche, da Heidegger a Colli, da Vernant a Detienne, hanno riformulato la medesima scansione di epoche: c’è un prima, oracolare, poetico, sapienziale, e dopo cala una cesura, caratterizzata da un diverso e rovesciato rapporto nei riguardi della verità. Prima, la verità arriva dall’alto; dopo, è l’uomo che dal basso la deve faticosamente costruire e aggiustare di continuo.

In un certo senso, i nietzscheani hanno retrodatato il problema aristotelico: non è la filosofia la via per la verità bensì il pensiero che la precede. Di conseguenza, a loro avviso, si deve indagare il sorgere di questo pensiero.

L’indagine è oramai secolare e dobbiamo ad essa un approfondimento della conoscenza dei nessi della civiltà greca classica con i suoi fondali. La ricerca ha riguardato un’ampia ecumene che abbraccia India, Iran, Scizia e Tracia, fino all’ultranietzscheano Walter Burkert che ha puntato sulle «origini selvagge» non solo paleolitiche ma etologiche.

Molto importanti, altresì, sono stati i risultati della ricerca sulla storia della religione greca arcaica, nelle cui complesse componenti molti studiosi hanno ritenuto di trovare gli elementi di continuità con i grandi pensatori iniziali del V secolo.

Da tutto ciò emerge con evidenza che il problema della nascita altro non è che la proiezione di un problema più centrale: che cos’è filosofia?

Alla fin fine, stiamo girando ancora attorno a una geniale e rivelatrice affermazione del Fedro (278 d). Verso la conclusione dell’affascinante dialogo, Socrate cita alcuni esempi di illustri personaggi del passato e dice al suo giovane interlocutore: … «”sapiente” mi pare un titolo grandioso, giustificabile solo per un dio, mentre un appellativo del tipo “desideroso di sapere” (filo-sofo) potrebbe definire meglio il livello dell’uomo.»

Platone sottolinea che la sapienza non appartiene alla condizione umana e che all’uomo compete, eventualmente, di dedicarsi alla sua ricerca, al suo amorevole culto, nel tempo stesso dedicandosi a trasformare la propria condizione attuale e a riacquistare quella perduta e dimenticata di livello divino.

Abbiamo pertanto due idee di filosofia che ne hanno complicato il problema della nascita. O l’antimitica scienza o il ritorno al paradiso.

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Per Platone la filosofia nasce dalla coscienza della distanza dell’uomo dalla verità. Questa distanza è il risultato di un allontanamento ed esige che l’intera vita sia orientata all’esercizio preparatorio dell’etica dell’avvicinamento e del ritorno. Il fine della sapienza viene assunto quale fine supremo della vita: perseguendolo l’uomo si salva dalla perdizione, paga la colpa, si èleva di nuovo alla pura condizione della sua originaria natura divina stellare e luminosa (ciò vale, beninteso, per colui che appartiene a questo génos).

Il culto e l’etica della sapienza salvifica e restauratrice si chiama filo-sophia. Così nel Fedro, uno dei dialoghi più simbolici della iniziazione alla verità.

Siamo nel pieno della religione della memoria e del sapere, analoga al pensiero dominante nell’ecumene che abbraccia India Iran Grecia. In Grecia tale orientamento si esprime nella religione dei pitagorici, l’orfismo.

La leggenda, forse fondata, vuole che il termine filósophos fosse creato proprio dalla cerchia più antica dei seguaci di Pythagóras, un saggio mitico ritenuto fin dai primordi l’incarnazione di Apollo Iperboreo (così a Crotone, cf. W. Burkert, Lore and Science in the Ancient Pythagoreanism, tr. ingl. 1972, 140 ss). Pitagora è chiamato con un nome che simboleggia e incorpora quello del dio pitico, il dio di Delphi, il python.

Un passo riferito da Clemente attribuisce l’uso dello stesso termine ad Eraclito (fr. 35: «gli uomini che vogliono essere filo-sofi devono esplorare molto»). I filologi non sono concordi sulla attendibilità in questo caso del testimone e tuttavia il passo ha il valore indubbio di segnalare che nel tempo di Eraclito si può coerentemente collocare la figura del filósophos, il «cercatore della sapienza», il «seguace della sapienza». Infatti è in quel tempo che la discussione sul suo ruolo è divenuta centrale.

La posizione di Aristotele circa la nascita del filosofo è davvero alternativa in radice alla concezione testè riassunta o al contrario la presuppone? Nella Metafisica egli afferma che il sapere vero, la «filosofia prima», riguarda l’origine delle cose. Ora, la conoscenza di tale origine si guadagna conoscendo le cause mediante le quali l’origine origina.

Per mostrare la maturità conclusiva della sua dottrina, Aristotele indica le prime tappe del passato che pur incomplete si allineano nella giusta direzione. In sintesi, ci dice che la filosofia che culmina in lui, è partita, infantile e incompleta, con i fisici della Jonia.

Le due diverse accezioni, la platonica e l’aristotelica, si possono prendere come le due risposte possibili alla stessa domanda: la filosofia nasce bambina o sorprendentemente adulta?

Per Aristotele nasce bambina, per Platone adulta, tanto adulta che sono piuttosto gli antichi a «trattare noi come bambini» (Sofista 242 c). A che cosa serve deciderci per l’una o l’altra delle risposte? In verità serve a non perderci nel romanzo ideologico.

Se la filosofia nasce adulta, non nasce, per intenderci, in Grecia e viene per forza da fuori. Se viene da fuori, e già ben sviluppata, non può che essere l’onda lunga della riflessione che si è scatenata e approfondita nel cuore della religione e della sapienza orientale, in specie vedica e avestica. Naturalmente, il «dono dei magi», per dirla con Martin West, ha trovato mani altamente recettive in forza della loro storia e della loro inclinazione.

Quale sia stato, poi, l’uso che i beneficiari hanno fatto del dono è altra questione e non riguarda la nascita bensì piuttosto la morte della filosofia.

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C’è tuttavia da tenere presente un elemento fondamentale che abbiamo toccato di sfuggita, essendoci riservati di farne la conclusione del nostro discorso. Pitagora è uno sciamano. In lui e nella nascita che viene da lui si riversa una linea potente ancora più basilare dei Veda e dell’Avesta, la grande piattaforma religiosa e sapienziale da cui escono i popoli indoeuropei e che alimenta le loro creazioni immortali.

Sia Pitagora, sia Parmenide, sia Eraclito viaggiano in un livello che sta oltre il mondo delle cose attraverso tecniche di rottura dello stato esistenziale normale. Quando ciò che hanno visto oltre il mondo delle cose si scontra con la dilagante banalizzazione dei loro contemporanei essi appaiono strani e «nuovi». Quello che dicono in contrasto con gli uomini normali appare l’inaugurazione di una via ancora non tentata.

Naturalmente le cose non stanno così. La filosofia è una via molto antica, il nome è nuovo e sembra contenere un’intenzione di distinzione anche polemica, però la via è antica.

Perfino il primato dell’egó che la contraddistingue ha antiche radici nel ruolo dell’uomo d’eccezione che conosce la via nascosta ai più e che è iniziato a staccarsi per andare a vedere come stanno veramente le cose, per andare a cercare l’anima che si è smarrita, per piegare i demoni che ne hanno rubato la salute, per parlare con dio.

«Il punto finale a cui arriva l’anima che pensa, tu, con il tuo modo di andare, non lo potrai trovare neanche se percorri tutte le strade, tanto profondo è il suo potere» (Eraclito fr. 45).

Giuseppe Lampis


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